Categorie
Articoli

Consumo, dunque sono

Choose your character: Summer 2027 Fashion Trends, Day in the life,
A cosa stai pensando? 

di Salvina Shtogaj

Marketing 101: non soddisfare bisogni ma creare desideri.
A proposito di soddisfazione, è impossibile raggiungerla nella società dei consumi di oggi. O meglio, una persona pensa di poterla raggiungere, la realizzazione del sé, tramite un feed ben curato, una foto di un tavolo apparecchiato o un video di 3,67 secondi. 
Amiamo le etichette, e questo i brand lo sanno. La nostra identità – la nostra vita – la manifestiamo tramite delle performance. I brand non offrono meri prodotti. Basta dare un’occhiata su Instagram o TikTok e vedere come sono escogitate e costruite le pubblicità. Danno forma a uno stile di vita, a una persona ben precisa: i loro prodotti e servizi, e non dimentichiamo le loro experience, ti offrono la visione di un qualcuno che potresti — e dunque vorresti— essere.

Dimmi cosa compri e ti dirò chi sei

Il titolo di questo articolo non è, ahimè, una mia idea, bensì il titolo del libro di Zygmunt Bauman (Laterza, 2008), che esamina la società dei consumatori moderna, «il cui valore supremo è il diritto-obbligo alla “ricerca della felicità”, una felicità istantanea e perpetua che non deriva tanto dalla soddisfazione dei desideri quanto dalla loro quantità e intensità». 
Un modo alternativo a Feuerbach per dire: “Sei ciò che mangi”. E cosa ci sarà di male in questo? Una persona giovane in qualche modo dovrà pur sentirsi realizzata, no? Esistono altre vie d’uscita? Il problema con questo tipo di consumo è che la sensazione di self-fulfilment, essendo immediata, non è duratura. Il nostro io non supera l’apparenza. Non arriverai mai alla piena realizzazione personale, perché ogni giorno viene girata una ruota della fortuna che ti indica un altro prodotto, un’altra identità. Tutto quello che hai acquistato e consumato prima non vale più ora.

Perché lo facciamo? 

Se esiste un mezzo più facile e veloce di mostrare noi stessi e di farci conoscere, che precede l’effettiva interazione sociale dal vivo, è comprensibile intraprendere questa via. Comprensibile è anche voler captare un momento spensierato e condividerlo. Ma se questa spensieratezza che vogliamo mostrare richiede troppo sforzo e ingegno da parte nostra, allora diventa un problema, perché il momento è già volato mentre cercavi di capire come catturarlo in un’immagine. Ma è anche vero che siamo portati a fare di Instagram la nostra vita, il nostro perno, perché al giorno d’oggi è la via più facile. Non sappiamo cos’altro fare. Per non parlare della possibilità di “lavorare” sui social, nel 2025 è un’idea troppo allettante (“eh la tecnologia…”, “eh l’intelligenza artificiale…”), ma questo dipende sempre dal tipo di lavoro. Condividere è sicuramente anche un modo per autoconsolarsi da un brutto periodo, ma poi dove va a finire questa storia?

Ha senso puntare il dito a Instagram?

Pubblicare foto non è il male. Uno deve semplicemente chiedersi perché lo fa. Perché ho scelto questa città o isola per la mia meta vacanze? Perché ho comprato quel paio di scarpe? Perché sto prenotando un tavolo proprio in quel ristorante? Pura curiosità? Puro interesse? Oppure devo solo mostrare agli altri che io posseggo quel paio di scarpe e che passo ogni mia estate proprio lì? Forse perché è il mio posto del cuore, o forse no. Forse perché volevo passare del tempo in compagnia dei miei amici, o forse non è solamente quello. Certo, se Mykonos è il tuo posto del cuore, non sono io a giudicarti.
Non c’è da chiedersi se l’azione sia giusta o sbagliata, ma soltanto che intenzione vi sia dietro. Purtroppo la linea è troppo sottile per non essere fraintesa.

Galimberti lo spiega meglio

Difficile che non ti sia capitato di vedere almeno un post su Umberto Galimberti che parla di noi giovani, probabilmente l’oggetto preferito dei suoi studi. Scherzi a parte, si tratta di un noto filosofo e psicoanalista. Egli afferma: «Molti giovani scambiano la loro identità con la pubblicità dell’immagine e, così facendo, si producono in quella metamorfosi dell’individuo che non cerca più se stesso, ma la pubblicità che lo costruisce» (L’ospite inquietante, Feltrinelli, 2007). Ribadisco che sia difficile sapere chi siamo a l’età di vent’anni, ed esplorare varie identità è lecito. Ma se uno si focalizza sull’immagine prima di capire chi sia e cosa gli piaccia o non gli piaccia avrà un’esperienza più limitante, poiché tenderà a conformarsi e ad adeguarsi a quello che vede sullo schermo. Mi dispiace che tra i miei coetanei si sia sviluppata l’abitudine di controllare sempre i social prima di azzardarsi a compiere un’azione, prima di pubblicare un post. Non esiste più una sincera curiosità per le cose. Perché stai facendo quello che stai facendo?
Ciononostante, non ha senso prendersela con le persone, perché non sono necessariamente loro la causa di questo problema. Però potrebbero sempre farsi due domande ogni tanto…

Come stare tra le nuvole

Questo nuovo modo di raccontare la tua vita è una nebbia troppo confortevole che ti fa dimenticare che vivi ed esisti in un mondo, in un dove e in un quando. Ti fa dimenticare le potenzialità dello strumento che hai in mano, perché è questo quello che sono i social. Possono essere paragonati a un motore di ricerca come Google, ma non dovresti scrollare su Tik Tok per capire cosa fare, cosa desiderare. Hai infinite risorse e infinite vie per realizzarti. La mia non vuole essere né una condanna né un’apologia dei social media ma piuttosto un incoraggiamento a ri-prendere coscienza e a non perdersi in quella che è la nostra quotidianità annebbiata. 

Adesso che hai finito di leggere, non ti sembra tutto superficiale? Non temere, su Instagram hai a disposizione uno spazio potenzialmente infinito in cui puoi condividere i tuoi pensieri.

Dai spazio alla tua creatività!  

Inizio io: “Il vostro ISEE è troppo alto per comprare su Shein”. 
O ancora meglio: “Social media killed romance”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *