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Democrazia e democratizzazione forzata: il caso dell’Iraq

di Iris Valerio

Introduzione

La democrazia è una forma di governo che trova i suoi natali nell’Atene del V secolo A.c. e che prevede il controllo del potere politico da parte del popolo per mezzo di libere elezioni.

La democrazia rappresenta, soprattutto in Occidente, una forma di governo perfetta al punto da poter generare la pace perpetua teorizzata da Kant. Secondo il filosofo di Königsberg le repubbliche risultavano più stabili rispetto ai regimi autoritari (Kant, 1795). La Teoria è stata rivisitata da Doyle nel 1983 che, adattandola al contesto storico, ha affermato che un mondo costituito da sole democrazie sarebbe un mondo idealmente stabile e pacifico.

Tuttavia, ad oggi, solo 64 Paesi su 193 sono democratici e solo l’8% della popolazione globale vive all’interno di una democrazia completa.

Dalla teoria della pace kantiana discende quindi il proposito moderno degli Stati occidentali di esportare la democrazia, anche per mezzo della guerra, per promuovere la pace, la prosperità economica, la sicurezza ed i diritti umani. L’esportazione forzata della democrazia, tuttavia, crea un paradosso che mina i principi stessi di essa e dei paesi che se ne considerano paladini ovvero l’accettazione della diversità, la libertà e l’autodeterminazione dei popoli.

Cos’è la democrazia

La democrazia ha subito una forte evoluzione nel corso del tempo. Se nell’antica Grecia vigeva la partecipazione diretta dei cittadini al potere politico, oggi la democrazia si basa sull’elezione di rappresentanti dei cittadini e il volere del popolo è limitato dalla legge al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali. Nonostante non ci sia una definizione universalmente riconosciuta del termine democrazia, per consensus uno Stato può essere definito democratico se al suo interno sono garantiti il suffragio universale, le elezioni libere, corrette e ricorrenti, la pluralità dei partiti, la competitività e la libertà di stampa (Cotta, 2001).

È, tuttavia, impossibile vedere la democrazia solo come una forma di governo senza considerare l’immediata associazione tra questa e le grandi conquiste sociali. Tra queste figurano la libertà di parola, l’uguaglianza formale tra le persone e lo sviluppo economico.

Metodi di esportazione del modello democratico

Esistono diversi metodi per esportare la democrazia. Quello più comune è la guerra. La democratizzazione forzata, attraverso il cosiddetto “metodo del bastone”, prevede l’utilizzo di mezzi coercitivi che, inevitabilmente, non coinvolgono solo i leader autoritari, ma anche la popolazione civile e contribuiscono ad acuire la violenza e la frammentazione interna ai Paesi oggetto di esportazione (Basso, 2017).

La democratizzazione attraverso il “metodo della carota”, al contrario, prevede un processo volto a modificare progressivamente le istituzioni governative e a diffondere e consolidare le idee di uguaglianza e libertà tra la popolazione in modo pacifico (Archibugi, 2009). L’utilizzo di strumenti di soft power come la persuasione, gli incentivi e la collaborazione internazionale non creano problemi etici di cui le democrazie esportatrici si devono fare carico e contribuiscono a migliorare il livello democratico all’interno degli stessi Paesi esportatori. Inoltre, il “metodo della carota” permette di evitare il sorgere di incongruenze tra i mezzi e il fine. La democrazia e la pace possono essere raggiunte con maggiore facilità attraverso l’utilizzo di mezzi coerenti.

Esportazione della democrazia e diritto internazionale

L’esportazione forzata della democrazia senza tenere conto dell’autodeterminazione e della volontà dei popoli mina alcuni dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico internazionale (Sinagra, 2015). Vengono messi in discussione il principio di parità giuridica tra gli Stati e il principio di integrità territoriale. In questo modo la comunità internazionale non è più vista come orizzontale. Diviene anzi una comunità nella quale gli Stati più forti economicamente e politicamente assumono una posizione egemonica nei confronti degli altri (Quadri, 1949).

L’esportazione della democrazia attraverso l’uso della forza mette, inoltre, in discussione il principio di non aggressione sancito dall’articolo 2 paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite. In tal caso parliamo del principio di non ingerenza negli affari interni. Quest’ultimo vieta tutti gli interventi volti a condizionare le decisioni politiche interne ed esterne degli altri Paesi.

Obiettivi all’apparenza nobili come l’esportazione della democrazia di stampo occidentale, dunque, vengono strumentalizzati al fine di giustificare “guerre democratiche”. Non soltanto: vanno a nascondere gli interessi economici degli Stati esportatori, i quali vengono accusati di non aver abbandonato del tutto le abitudini imperialiste (Zolo, 2010).

Il caso dell’Iraq

In Iraq nel 2003 è stata applicata per la prima volta in modo pratico la dottrina Bush della guerra preventiva. L’intervento armato unilaterale, voluto in modo particolare dagli Stati Uniti al fine di eliminare le presunte armi di distruzione di massa e di far cadere il regime di Saddam Hussein, non era stato autorizzato dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Risulta quindi illegale secondo il diritto internazionale. Il processo di democratizzazione del Paese a seguito della caduta di Saddam non è risultato semplice e veloce come previsto dall’Amministrazione americana. La democrazia è stata esportata con la forza, senza coinvolgere attivamente la popolazione, la quale ha percepito il regime democratico come una mera imposizione da parte di una potenza occupante.

L’Iraq post-Saddam, ancora annoverato tra i regimi autoritari dal Democracy Index dell’Economist Intelligence Unit, è caratterizzato da una profonda insicurezza economica, politica e fisica. La corruzione è estremamente diffusa e l’avvento della democrazia non è riuscito a migliorare in modo significativo le condizioni di vita dei cittadini iracheni. Al contrario, la democratizzazione forzata ha fatto sorgere un sentimento antioccidentale tra i cittadini iracheni. Il gruppo terroristico di Al-Qaida non è stato indebolito, come auspicato. Addirittura ha incrementato le sue opportunità di reclutamento all’interno del territorio (Fawcett, 2023). L’intervento statunitense in Iraq ha avuto un impatto destabilizzante per l’intero sistema internazionale. Questo non ha favorito gli interessi occidentali in quanto, oltre alla caduta del regime del Rais, ha fallito nell’intento di esportare la democrazia per pacificare il Medio Oriente e per estirpare il fenomeno del terrorismo (Acharya et. al, 2011). I controversi risultati prodotti dalla guerra in Iraq hanno esposto i limiti dell’esportazione forzata della democrazia. Non soltanto: hanno contribuito ad aumentare lo scetticismo nei confronti dell’ordine mondiale a guida americana e hanno causato danni reputazionali agli Stati Uniti, accusati di essere una potenza neo imperiale.

Conclusioni

L’esportazione della democrazia diventa così uno degli obiettivi cardine della politica estera americana dalla caduta del blocco sovietico al fine di consolidare la propria egemonia e di stabilizzare il nuovo ordine mondiale, con la convinzione che, come teorizzato nella teoria neokantiana, le democrazie siano pacifiche e non si dichiarino guerra a vicenda. L’esperienza storica dell’esportazione coercitiva della democrazia in Iraq ha messo in luce il fatto che la democrazia è difficilmente esportabile con la forza senza tenere conto della volontà del popolo. Tutto questo dimostra anche che l’ideale della democrazia e la difesa dei suoi valori vengono spesso strumentalizzati al fine di giustificare l’utilizzo unilaterale della forza, anche quando non consentito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Bartholomew, 2009). Affinché la democrazia possa attecchire in un nuovo territorio risulta quindi necessario comporre un quadro politico endogeno. Tale contesto deve possedere una cultura politica adeguata. La popolazione deve aver espresso il desiderio di instaurare una democrazia e sia stata coinvolta nel processo di ricostruzione del paese a seguito della caduta del regime precedente.

Bibliografia

Acharya A., Katsumata H. (2011), Beyond Iraq: The Future of World Order, World Scientific Publishing Co Pte Ltd, Singapore, 40

Archibugi D. (2009), Legality and legitimacy of exporting democracy, in “Legality and legitimacy in global affairs”, Oxford University Press, Oxford, 414-438

Bartholomew A. (2009), Legality/legitimacy: Problems and Prospect for Legality under American Empire, in “Legality and legitimacy in global affairs”, Oxford University Press, Oxford

Basso P. (2017), Iraq, Afghanistan..: genocidii da portare alla luce, in “DEP”, n.34/2017

4doi.org/10.2307/20202345 (16/08/2024)

Cotta M., Della Porta D., Morlino L. (2001), Scienza politica, Società editrice il Mulino, Bologna: 91

Doyle M. (1983), Kant, Liberal Legacies, and Foreign Affairs, in “Philosophy and Public Affairs”, 205-235 e 323-354

Fawcett L. (2023), The Iraq War 20 years on: towards a new regional architecture, in “International Affairs” Kant I. (1795), Per la pace perpetua, Sonzogno, Milano

Quadri R. (1949), Diritto internazionale pubblico, Priulla Editore, Milano

Sinagra A. (2015), Sovranità dello Stato e divieto di ingerenza nei suoi affari interni, in “Ordine internazionale e diritti umani”, 780-787

Zolo D. (2010), Violenza, democrazia e diritto internazionale, in “Jura Gentium”

Sitografia

www.eiu.com/n/democracy-index-conflict-and-polarisation-drive-a-new-low-for-global-democracy/ (12/06/2024) doi.org/10.2307/202

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Il conflitto in Ucraina: dalle cause dell’attacco ai futuri scenari

di Giulia Molinari

Lo scoppio della guerra in Ucraina, avvenuto il 24 febbraio 2022, ha colto di sorpresa gran parte dei paesi e dell’opinione pubblica occidentali, che ormai avevano scordato la precedente crisi del 2014, apparentemente risolta con gli Accordi di Minsk.
Nella prima parte di questo articolo verranno presentate tre possibili cause che comprendono le sfere storica, psicologico-sociale e geografica che potrebbero celarsi dietro l’attacco russo. Successivamente verrà svolta un’analisi sul futuro sviluppo del conflitto sotto il profilo delle relazioni che intercorrono tra le maggiori potenze coinvolte, quali Russia, Stati Uniti e Cina.


Russia e Ucraina, una storia comune


Lo stato ucraino ha ottenuto ufficialmente l’indipendenza nel 1991, prima di allora ha fatto parte dell’impero zarista russo, la cui origine risale alla “Rus’ di Kiev”, situato proprio nel territorio ucraino, e successivamente dell’Unione Sovietica.
Per questo ancora oggi i due paesi condividono gran parte della loro eredità storica, culturale, religiosa e politica. Tuttavia, anche in seguito all’indipendenza, il Cremlino ha continuato ad esercitare una forte influenza su Kiev, dal punto di vista economico e politico. Secondo la visione di Kiev, è l’Ucraina che ha mantenuto l’eredità geografica, politica e culturale della Rus’ di Kiev. Mosca, al contrario, crede di essere l’erede politica, religiosa e culturale dell’antico regno (Marshall 2022) . Di conseguenza, come spiegato anche dallo stesso Putin nel proprio discorso precedente all’attacco, la Russia non potrà mai accettare un’Ucraina filo-europea e membro della NATO, in quanto la sua immagine di superpotenza verrebbe inevitabilmente danneggiata e incoraggerebbe altre repubbliche ex-
sovietiche a cercare nuovi partner al di fuori di Mosca.
La guerra in corso, quindi può essere vista anche come una dimostrazione di forza di Mosca principalmente nei confronti di Kiev, ma anche delle potenze occidentali e della Nato coinvolte.


La psicologia collettiva della società russa


La psicologia collettiva del popolo russo è influenzata dalla sua storia politica, dalla propaganda del proprio governo e dalle correnti di pensiero che suggestionano sia i cittadini che i membri delle istituzioni. La Russia è sempre stata governata da regimi autoritari, prima gli zar, poi la dittatura sovietica e ora il regime di Putin. Inoltre, l’identità stessa del popolo russo si fonda sulla potenza del proprio stato, intesa sia come potenza militare (hard power), che, come abilità di influenzare a livello economico e strategico l’agenda globale, (soft power). In seguito allo shock determinato dal crollo dell’URSS, e la simbolica vittoria della guerra fredda da parte degli USA, la Federazione Russa aveva bisogno di un nuovo leader dal “pugno di ferro” per restaurare la sua immagine di grande potenza, ovvero Vladimir Putin. La sua strategia di governo sia in politica interna, sia in politica estera, può essere riassunta nel termine ACM, Authoritarian Conflict Management, la quale prevede un assoluto dominio del governo sul territorio, sull’economia e sulle pratiche
mediatiche
volte a silenziare le voci contro il regime e promuovere la propaganda del governo.

Nel corso del conflitto in Ucraina…

La propaganda del Cremlino ha avuto come duplice obiettivo quello di legittimare l’attacco all’Ucraina agli occhi dei cittadini russi e scoraggiare l’insurrezione di crisi o colpi di stato in altre ex-repubbliche sovietiche, dimostrando che chi vuole minacciare la Russia subirà lo stesso destino dell’Ucraina (Peters 2024) . In questo modo Putin ha stabilito un’immagine di sé stesso come un “presidente in guerra”, un ruolo che certamente in alcuni momenti del suo governo gli è valso l’approvazione e il sostegno della gran parte dei cittadini russi, come durante l’annessione della Crimea nel 2014 e i primi mesi della guerra in Ucraina nel 2022, ma che dall’altro lato implica che il suo potere sia indissolubilmente legato alla guerra e alla vittoria e quindi sia costretto a portare avanti conflitti per mantenere il suo potere intatto.

Il senso di accerchiamento della Russia


L’aspetto geografico determina la strategia geopolitica e militare di uno Stato. La politica estera di Mosca si concentra da sempre sull’idea di essere accerchiata da nemici che minacciano la sua sovranità (Editoriale 2016) . Il territorio dello Stato russo è il più esteso al mondo e ciò comporta
notevoli difficoltà riguardo la sua gestione, perciò, la strategia del Cremlino per prevede un dominio assoluto dello stato sui cittadini che lo abitano e sulle attività che lì vengono svolte. È possibile quindi affermare che la politica estera russa sia incentrata sul mantenimento della propria sicurezza a qualunque costo, come affermato anche dalla teoria esposta da Kenneth Waltz, secondo cui la sicurezza all’interno di un sistema anarchico è il principale obiettivo di uno stato, il quale per conseguirla è disposto a muovere guerra al fine di modificare gli equilibri internazionali a proprio favore (Waltz 1979) . Il Cremlino, di fatto, è consapevole che il punto più vulnerabile del suo immenso territorio è la pianura ad ovest di Mosca, la quale si estende senza interruzioni geografiche fino al cuore dell’Europa. Il governo dell’Unione Sovietica a tal proposito aveva ideato
un sistema di Stati cuscinetto concentrati nell’Europa dell’est, primo fra tutti l’Ucraina. Kiev ha rappresentato per decenni una barriera protettiva per la Russia, per cui l’avvicinamento alla UE e alla Nato ha scatenato le preoccupazioni del Cremlino.

La centralità dell’Ucraina

La centralità strategica dell’Ucraina non è solamente una convinzione di Mosca. La teoria di H. J. Mackinder, che fa perno sull’importanza dell’Heartland per una potenza che vuole dominare il mondo, identifica quest’area strategica proprio nell’est Europa (Mackinder 1904) . Conseguentemente, l’importanza e l’influenza di queste due teorie, unite all’ossessione dell’accerchiamento della Russia contribuiscono, in parte, a spiegare perché Mosca non riesce ad accettare una Kiev indipendente o, persino, ostile al Cremlino, tanto da
decidere di muovere guerra contro il suo storico alleato.


Nuovi rapporti strategici tra Cina, Stati Uniti e Russia


Ora che tutte le forze militari e politiche russe sono concentrate sul conflitto ucraino, altre zone di influenza di Mosca, come l’Asia centrale con le ex-repubbliche sovietiche, si rivolgono ad altre potenze per soddisfare i loro interessi. In questa situazione la Cina la fa da padrone, sia per aver
avviato importanti progetti economici e infrastrutturali lungo la via della Seta, sia per essere al contempo diventata il principale partner economico e militare della Russia (Fabbri 2023) .

Inoltre…


L’avvicinamento di Pechino a Mosca ha suscitato reazioni diverse nel mondo occidentale. In primo luogo, è stato presentato come l’inizio di un nuovo asse strategico e una minaccia sia per la guerra in corso sia per i rapporti futuri con Pechino (Filippo Fasulo 2022) . Recentemente, tuttavia, è
apparso chiaro come Pechino stia sfruttando questa temporanea vulnerabilità economica e militare di Mosca a proprio vantaggio. Da un lato è diventato il nuovo maggior fruitore di gas e petrolio russi, dall’altro grazie alla propria potenza economica e strategica, sta occupando i vuoti di
influenza lasciati dalla Russia in Asia impegnata in un lungo conflitto d’attrito. Inoltre, i rapporti tra Washington e Pechino non si sono mai interrotti del tutto, Nonostante la crisi dei dazi, e le posizioni strategiche opposte nel conflitto ucraino, le due potenze stanno continuando a collaborare sul piano economico e anche su quello strategico, specialmente in seguito ai rapporti che Mosca sta stringendo sia con Nuova Delhi che Pyongyang, che rappresenterebbero una minaccia per la Cina in territorio asiatico, sia per le sue ambizioni sul pacifico, sia per il progetto della via della Seta. Di fatto, con il summit svoltosi lo scorso gennaio tra i leader Xi Jinping e Biden, un nuovo passo avanti è stato compiuto, e un ulteriore spazio di dialogo è stato aperto in seguito all’incontro tra i due rispettivi ministri degli esteri (Carrai 2024) . Tuttavia, i rapporti tra i due paesi in relazione al
conflitto e alla Russia stessa potrebbero cambiare in seguito a una possibile vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni americane di novembre. Questo cambio di leadership comporterebbe una diminuzione degli aiuti all’Ucraina e una concentrazione maggiore di Washington su Pechino, sia in termine di affari, sia in termini militari.

Bibliografia

  • Carrai, Maria. «Stati Unitie e Cina: la ripresa del dialogo dopo San Francisco.» Ispi, 2024.
  • Editoriale . «Due più due fa cinque?» Limes rivista italiana di geopolitica, 2016: 7-28.
  • Fabbri, Dario. «Geopolitica & finanza.» Conferenza Allianz Global Investors. Milano, 2023.
  • Filippo Fasulo, Roberto Italia. «Mosca chiama, Pechino (per ora) risponde.» ISPI G20-
  • Nuovo ordine mondiale, 2022.
  • Mackinder, Halford John. «The Geographical Pivot of History.» The Geographical Journal,
  • 1904.
  • Marshall, Tim. Russia e Ucraina, la mappa che spiega la guerra. Garzanti, 2022.
  • Peters, P. «When the media goes to war: how Russian news media defend the country’s
  • image during the conflict with Ukraine.» Media, War & Conflict, 2024: 1-19.
  • Waltz, Kenneth. «Theory of International Politics.» 199-232. McGraw-Hill, 1979.