di Alessia Bandieri
Fin dall’antichità, lo sport è stato utilizzato come strumento diplomatico. In particolare, durante l’Antica Grecia, considerata la patria dello sport, i Giochi olimpici venivano sfruttati per istituire tregue sacre al fine di interrompere temporaneamente i conflitti bellici e permettere ai soldati/atleti di prendere parte alle competizioni, la cui importanza andava ben oltre i semplici risultati sportivi. Nonostante l’evoluzione della storia, anche oggi lo sport ha un’incredibile importanza e viene spesso utilizzato come mezzo politico da Stati, organizzazioni internazionali con lo scopo di mostrare il proprio potere a livello internazionale, ottenere l’appoggio di altri attori e mostrare i propri interessi.
Gli eventi sportivi al giorno d’oggi
Nel mondo di oggi, gli eventi sportivi internazionali, quali Giochi olimpici, campionati mondiali, ecc, rappresentano un enorme fonte di guadagno economico e potere per i Paesi organizzatori, i quali adottano qualsiasi tipo di strategia per ottenere l’organizzazione di tali eventi. All’interno dell’articolo verrà descritto il binomio tra sport e diplomazia e di come esso rientri all’interno delle strategie di soft power di un paese, soprattutto attraverso l’esempio pratico dei boicottaggi delle Olimpiadi di Mosca 1980 e Los Angeles 1984. Successivamente verranno illustrate le strategie di soft power del Qatar, facendo particolare riferimento alla sports diplomacy.
Sports diplomacy
Secondo il professore di Relazioni internazionali e Diplomazia presso l’università di Bond, Stuart Murray, per diplomazia sportiva si intende l’uso strategico e continuo dello sport, degli atleti e degli eventi sportivi da parte di uno Stato o di attori non statali, per raggiungere una grande varietà di obiettivi, che possono essere politici, commerciali, di sviluppo, di reputazione. La diplomazia sportiva rientra all’interno delle strategie di soft power di un Paese. Ogni attore internazionale detiene due tipi di potere: hard e soft power. Con il primo termine, si intendono i mezzi coercitivi, le minacce militari ed economiche e l’effettiva messa in pratica di quest’ultime. Con il secondo termine invece, si intende l’abilità di uno Stato di dare forma e modificare le preferenze di altri attori internazionali senza l’uso della forza. La forma di soft power maggiormente utilizzata è la diplomazia, di cui esistono diverse forme, tra cui la sports diplomacy.

Nello specifico…
Lo sport permette infatti agli attori internazionali di comunicare e collaborare con le altre Nazioni senza l’utilizzo della forza, rappresentando inoltre una fonte di reputazione. Grazie agli eventi sportivi internazionali, infatti, gli Stati possono dimostrare la propria supremazia e raggiungere obiettivi politici. Fin dall’antichità, sport e diplomazia hanno avuto un forte legame. Molto spesso in passato, l’organizzazione di eventi sportivi è stata utilizzata per tentare come surrogato dei conflitti armati, come ad esempio durante la Guerra Fredda. L’esempio più famoso di diplomazia sportiva è però è la “Diplomazia del ping-pong” tra Stati Uniti e Cina. Nel 1971, in occasione di un torneo internazionale di ping-pong, svoltosi in Giappone, avvennero diversi scambi tra la squadra americana e quella cinese, che portarono alla nascita di una relazione amichevole. Grazie ad essa e all’intervento dei rispettivi presidenti, nel 1979 gli Stati Uniti riconobbero ufficialmente il governo della Repubblica popolare cinese di Pechino come legittimo, dando inizio alle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.
I boicottaggi delle Olimpiadi 1980 e 1984
Nel corso della storia, è possibile individuare diversi esempi di come gli attori internazionali abbiano preferito intraprendere strategie di diplomazia sportiva al posto di forme di potere coercitive. Tra questi, i più eclatanti sono i boicottaggi dei Giochi olimpici di Mosca 1980 e Los Angeles 1984. A partire dal XIX secolo, Russia e Gran Bretagna si sono contese l’Afghanistan attraverso diversi conflitti e dispute, fino al 1885, quando trovarono un accordo, attribuendo all’Afghanistan la funzione di Stato cuscinetto. Nel dicembre del 1979 l’Unione Sovietica decise di invadere il Paese poiché temeva di perdere la propria influenza. Il presidente americano Jimmy Carter condannò l’iniziativa e richiese al CIO, il Comitato olimpico internazionale, di rimandare i Giochi olimpici in programma per l’estate 1980 a Mosca e, ottenendo esito negativo, richiese al proprio comitato olimpico di boicottare i Giochi, ritirando i propri atleti dalle competizioni. Come conseguenza all’assenza degli Stati Uniti, altri 50 Stati decisero di aderire al boicottaggio. Terminata l’edizione del 1980, la Russia cominciò a preparare la squadra olimpica per l’edizione successiva che si sarebbe tenuta a Los Angeles. L’obiettivo del Paese era dimostrare la propria superiorità nei confronti degli Stati Uniti, attraverso le vittorie sportive, come strumento di soft power, durante gli anni della Guerra Fredda. Però, a causa di diversi problemi di sicurezza che avrebbero messo in pericolo gli atleti russi, la delegazione decise di non partire, boicottando a loro volta i Giochi olimpici. Nonostante il risultato fallimentare dei due boicottaggi, che permisero alle Nazioni ospitanti di mostrarsi ancora più forti, vincendo il medagliere delle proprie edizioni, essi fungono da esempio perfetto per evidenziare i vari tipi di potere che gli attori internazionali possiedono per mostrare le proprie posizioni.
Sportswashing
Sempre più spesso gli eventi sportivi vengono utilizzati con lo scopo di rafforzare il proprio potere e la propria immagine a livello internazionale. Per questa ragione, è molto probabile che gli attori internazionali cerchino di nascondere quanto di illecito si svolge nei propri Paesi attraverso tali eventi. Questa strategia viene denominata sportswashing, ossia l’utilizzo di sport, atleti, eventi sportivi e squadre al fine di distogliere l’attenzione da azioni non democratiche o di sfruttamento. Il termine venne coniato nel 2015 in occasione degli European Games da parte dell’Azerbaigian. Durante la campagna “Sports for Rights”, il governo venne accusato di allontanare l’attenzione dallo scarso rispetto dei diritti umani all’interno del Paese attraverso tale evento. Il termine venne poi reso famoso grazie ad Amnesty International che lo adottò nei confronti della famiglia reale di Abu Dhabi, accusandola di aver comprato la squadra del Manchester City per ripulire la propria immagine. Nonostante l’espressione sia molto recente, è possibile rintracciare esempi di sportswashing, già a partire dal XX secolo. Nel 1934, Mussolini organizzò la Coppa del Mondo di calcio e nel 1936 la Germania di Hitler fu il Paese organizzatore dei Giochi olimpici. Grazie allo sport, i due Paesi vollero mostrare la superiorità della propria razza, utilizzandolo come strumento di propaganda, nascondendo però le pratiche illecite che caratterizzavano i loro governi.
La diplomazia sportiva del Qatar
Nonostante sia un piccolo Stato, in termini di estensione geografica, il Qatar possiede enormi quantità di denaro grazie alle esportazioni di idrocarburi. Tale denaro permette al Paese di differenziarsi dagli altri piccoli Stati e di intraprendere azioni, anche azzardate, con il solo scopo di accrescere il proprio potere a livello internazionale e ritornare a ricoprire un ruolo di potere negli equilibri geopolitici internazionali, dopo l’ostracismo messo in atto dalle Potenze rivali vicine, quali Arabia Saudita e Iran. Il Qatar ha individuato lo sport come ambito nel quale investire per rafforzare il proprio potere e promuovere la propria immagine. Per mettere in atto la propria diplomazia sportiva, il Qatar ha deciso di adottare diverse strategie, tra cui: organizzazione di mega eventi sportivi, naturalizzazione di atleti stranieri e presenza nel mondo del calcio. Gli obiettivi principali del Qatar sono dimostrare la propria superiorità come microstato e perseguire pace, sicurezza e integrità. Attraverso la naturalizzazione, il Paese intende mostrarsi rilevante nello sport presentando delegazioni numerose negli eventi sportivi più importanti e ottenere migliori risultati grazie agli atleti stranieri naturalizzati. La sua presenza nel mondo del calcio invece permette al Paese di rafforzare il proprio potere, vista l’enorme importanza del calcio nel mondo odierno. Tale strategia è stata messa in atto attraverso l’acquisizione della squadra del Paris Saint-Germain che è poi riuscita ad ottenere notevoli risultati. Nonostante i buoni risultati la diplomazia sportiva viene spesso criticata, non riuscendo a rafforzare completamente il potere internazionale del Qatar.
La Coppa del Mondo 2022 in Qatar
Il 2 dicembre 2010, la FIFA ha assegnato al Qatar l’organizzazione della Coppa del Mondo 2022. Ciò ha causato un peggioramento della considerazione dell’opinione pubblica nei confronti della stessa FIFA e del Qatar, accusato di aver comprato i voti necessari alla designazione. Il Qatar, infatti, non possedeva gli standard normalmente richiesti ai Paesi per organizzare i Mondiali di Calcio. Lo Stato si presentava come il Paese più piccolo ad aver mai ospitato una competizione di tale portata, aveva poche infrastrutture adatte alla competizione, il clima avrebbe reso difficile lo svolgimento dell’evento durante l’estate e non possedeva una tradizione calcistica tale da spiegare l’assegnazione. Attraverso l’organizzazione della Coppa del Mondo, il Qatar voleva attrarre turisti e investimenti stranieri e migliorare la propria reputazione nello scenario geopolitico internazionale, per mostrarsi come una società araba moderna.

Gli studi sui Mondiali 2022 in Qatar
Diversi studiosi e giornalisti affermano che, nonostante tutto, grazie all’organizzazione della Coppa del Mondo, il Qatar sia riuscito ad attrarre migliaia di turisti e spettatori, incrementando il proprio prestigio sul piano internazionale. Allo stesso tempo però, il Paese non è riuscito a ripulire la propria immagine e a migliorare la propria considerazione agli occhi dell’opinione pubblica, a causa delle problematiche interne vissute dal momento dell’assegnazione della Coppa del Mondo. Per adeguare il Paese alla competizione, il governo ha fatto costruire moltissimi hotel, appartamenti e anche diversi stadi. Nella costruzione di queste infrastrutture sono morte diverse migliaia di lavoratori migranti, mettendo in luce le problematiche interne al Paese relative al sistema della kafala, ossia una sorta di schiavitù a cui i lavoratori migranti sono sottoposti. Inoltre, la competizione ha permesso di sottolineare ulteriormente il mancato rispetto dei diritti delle donne, delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ e dei lavoratori.

In conclusione…
A conti fatti, è possibile affermare che il Qatar ha ottenuto solo in parte i risultati che si prefiggeva con l’organizzazione della Coppa del Mondo. Se da un lato è stato in grado di mostrarsi rilevante sul piano geopolitico e di affermarsi come potenza regionale, non è però riuscito a migliorare la propria immagine. Nel corso dell’evento sono state infatti evidenziate ulteriormente le problematiche interne e ribadite le accuse di sportswashing.
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