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Il conflitto in Ucraina: dalle cause dell’attacco ai futuri scenari

di Giulia Molinari

Lo scoppio della guerra in Ucraina, avvenuto il 24 febbraio 2022, ha colto di sorpresa gran parte dei paesi e dell’opinione pubblica occidentali, che ormai avevano scordato la precedente crisi del 2014, apparentemente risolta con gli Accordi di Minsk.
Nella prima parte di questo articolo verranno presentate tre possibili cause che comprendono le sfere storica, psicologico-sociale e geografica che potrebbero celarsi dietro l’attacco russo. Successivamente verrà svolta un’analisi sul futuro sviluppo del conflitto sotto il profilo delle relazioni che intercorrono tra le maggiori potenze coinvolte, quali Russia, Stati Uniti e Cina.


Russia e Ucraina, una storia comune


Lo stato ucraino ha ottenuto ufficialmente l’indipendenza nel 1991, prima di allora ha fatto parte dell’impero zarista russo, la cui origine risale alla “Rus’ di Kiev”, situato proprio nel territorio ucraino, e successivamente dell’Unione Sovietica.
Per questo ancora oggi i due paesi condividono gran parte della loro eredità storica, culturale, religiosa e politica. Tuttavia, anche in seguito all’indipendenza, il Cremlino ha continuato ad esercitare una forte influenza su Kiev, dal punto di vista economico e politico. Secondo la visione di Kiev, è l’Ucraina che ha mantenuto l’eredità geografica, politica e culturale della Rus’ di Kiev. Mosca, al contrario, crede di essere l’erede politica, religiosa e culturale dell’antico regno (Marshall 2022) . Di conseguenza, come spiegato anche dallo stesso Putin nel proprio discorso precedente all’attacco, la Russia non potrà mai accettare un’Ucraina filo-europea e membro della NATO, in quanto la sua immagine di superpotenza verrebbe inevitabilmente danneggiata e incoraggerebbe altre repubbliche ex-
sovietiche a cercare nuovi partner al di fuori di Mosca.
La guerra in corso, quindi può essere vista anche come una dimostrazione di forza di Mosca principalmente nei confronti di Kiev, ma anche delle potenze occidentali e della Nato coinvolte.


La psicologia collettiva della società russa


La psicologia collettiva del popolo russo è influenzata dalla sua storia politica, dalla propaganda del proprio governo e dalle correnti di pensiero che suggestionano sia i cittadini che i membri delle istituzioni. La Russia è sempre stata governata da regimi autoritari, prima gli zar, poi la dittatura sovietica e ora il regime di Putin. Inoltre, l’identità stessa del popolo russo si fonda sulla potenza del proprio stato, intesa sia come potenza militare (hard power), che, come abilità di influenzare a livello economico e strategico l’agenda globale, (soft power). In seguito allo shock determinato dal crollo dell’URSS, e la simbolica vittoria della guerra fredda da parte degli USA, la Federazione Russa aveva bisogno di un nuovo leader dal “pugno di ferro” per restaurare la sua immagine di grande potenza, ovvero Vladimir Putin. La sua strategia di governo sia in politica interna, sia in politica estera, può essere riassunta nel termine ACM, Authoritarian Conflict Management, la quale prevede un assoluto dominio del governo sul territorio, sull’economia e sulle pratiche
mediatiche
volte a silenziare le voci contro il regime e promuovere la propaganda del governo.

Nel corso del conflitto in Ucraina…

La propaganda del Cremlino ha avuto come duplice obiettivo quello di legittimare l’attacco all’Ucraina agli occhi dei cittadini russi e scoraggiare l’insurrezione di crisi o colpi di stato in altre ex-repubbliche sovietiche, dimostrando che chi vuole minacciare la Russia subirà lo stesso destino dell’Ucraina (Peters 2024) . In questo modo Putin ha stabilito un’immagine di sé stesso come un “presidente in guerra”, un ruolo che certamente in alcuni momenti del suo governo gli è valso l’approvazione e il sostegno della gran parte dei cittadini russi, come durante l’annessione della Crimea nel 2014 e i primi mesi della guerra in Ucraina nel 2022, ma che dall’altro lato implica che il suo potere sia indissolubilmente legato alla guerra e alla vittoria e quindi sia costretto a portare avanti conflitti per mantenere il suo potere intatto.

Il senso di accerchiamento della Russia


L’aspetto geografico determina la strategia geopolitica e militare di uno Stato. La politica estera di Mosca si concentra da sempre sull’idea di essere accerchiata da nemici che minacciano la sua sovranità (Editoriale 2016) . Il territorio dello Stato russo è il più esteso al mondo e ciò comporta
notevoli difficoltà riguardo la sua gestione, perciò, la strategia del Cremlino per prevede un dominio assoluto dello stato sui cittadini che lo abitano e sulle attività che lì vengono svolte. È possibile quindi affermare che la politica estera russa sia incentrata sul mantenimento della propria sicurezza a qualunque costo, come affermato anche dalla teoria esposta da Kenneth Waltz, secondo cui la sicurezza all’interno di un sistema anarchico è il principale obiettivo di uno stato, il quale per conseguirla è disposto a muovere guerra al fine di modificare gli equilibri internazionali a proprio favore (Waltz 1979) . Il Cremlino, di fatto, è consapevole che il punto più vulnerabile del suo immenso territorio è la pianura ad ovest di Mosca, la quale si estende senza interruzioni geografiche fino al cuore dell’Europa. Il governo dell’Unione Sovietica a tal proposito aveva ideato
un sistema di Stati cuscinetto concentrati nell’Europa dell’est, primo fra tutti l’Ucraina. Kiev ha rappresentato per decenni una barriera protettiva per la Russia, per cui l’avvicinamento alla UE e alla Nato ha scatenato le preoccupazioni del Cremlino.

La centralità dell’Ucraina

La centralità strategica dell’Ucraina non è solamente una convinzione di Mosca. La teoria di H. J. Mackinder, che fa perno sull’importanza dell’Heartland per una potenza che vuole dominare il mondo, identifica quest’area strategica proprio nell’est Europa (Mackinder 1904) . Conseguentemente, l’importanza e l’influenza di queste due teorie, unite all’ossessione dell’accerchiamento della Russia contribuiscono, in parte, a spiegare perché Mosca non riesce ad accettare una Kiev indipendente o, persino, ostile al Cremlino, tanto da
decidere di muovere guerra contro il suo storico alleato.


Nuovi rapporti strategici tra Cina, Stati Uniti e Russia


Ora che tutte le forze militari e politiche russe sono concentrate sul conflitto ucraino, altre zone di influenza di Mosca, come l’Asia centrale con le ex-repubbliche sovietiche, si rivolgono ad altre potenze per soddisfare i loro interessi. In questa situazione la Cina la fa da padrone, sia per aver
avviato importanti progetti economici e infrastrutturali lungo la via della Seta, sia per essere al contempo diventata il principale partner economico e militare della Russia (Fabbri 2023) .

Inoltre…


L’avvicinamento di Pechino a Mosca ha suscitato reazioni diverse nel mondo occidentale. In primo luogo, è stato presentato come l’inizio di un nuovo asse strategico e una minaccia sia per la guerra in corso sia per i rapporti futuri con Pechino (Filippo Fasulo 2022) . Recentemente, tuttavia, è
apparso chiaro come Pechino stia sfruttando questa temporanea vulnerabilità economica e militare di Mosca a proprio vantaggio. Da un lato è diventato il nuovo maggior fruitore di gas e petrolio russi, dall’altro grazie alla propria potenza economica e strategica, sta occupando i vuoti di
influenza lasciati dalla Russia in Asia impegnata in un lungo conflitto d’attrito. Inoltre, i rapporti tra Washington e Pechino non si sono mai interrotti del tutto, Nonostante la crisi dei dazi, e le posizioni strategiche opposte nel conflitto ucraino, le due potenze stanno continuando a collaborare sul piano economico e anche su quello strategico, specialmente in seguito ai rapporti che Mosca sta stringendo sia con Nuova Delhi che Pyongyang, che rappresenterebbero una minaccia per la Cina in territorio asiatico, sia per le sue ambizioni sul pacifico, sia per il progetto della via della Seta. Di fatto, con il summit svoltosi lo scorso gennaio tra i leader Xi Jinping e Biden, un nuovo passo avanti è stato compiuto, e un ulteriore spazio di dialogo è stato aperto in seguito all’incontro tra i due rispettivi ministri degli esteri (Carrai 2024) . Tuttavia, i rapporti tra i due paesi in relazione al
conflitto e alla Russia stessa potrebbero cambiare in seguito a una possibile vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni americane di novembre. Questo cambio di leadership comporterebbe una diminuzione degli aiuti all’Ucraina e una concentrazione maggiore di Washington su Pechino, sia in termine di affari, sia in termini militari.

Bibliografia

  • Carrai, Maria. «Stati Unitie e Cina: la ripresa del dialogo dopo San Francisco.» Ispi, 2024.
  • Editoriale . «Due più due fa cinque?» Limes rivista italiana di geopolitica, 2016: 7-28.
  • Fabbri, Dario. «Geopolitica & finanza.» Conferenza Allianz Global Investors. Milano, 2023.
  • Filippo Fasulo, Roberto Italia. «Mosca chiama, Pechino (per ora) risponde.» ISPI G20-
  • Nuovo ordine mondiale, 2022.
  • Mackinder, Halford John. «The Geographical Pivot of History.» The Geographical Journal,
  • 1904.
  • Marshall, Tim. Russia e Ucraina, la mappa che spiega la guerra. Garzanti, 2022.
  • Peters, P. «When the media goes to war: how Russian news media defend the country’s
  • image during the conflict with Ukraine.» Media, War & Conflict, 2024: 1-19.
  • Waltz, Kenneth. «Theory of International Politics.» 199-232. McGraw-Hill, 1979.
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Alla scoperta del Trentino-Alto Adige, al confine tra Austria e Italia

Viaggio linguistico-sociale in una regione ricca di storia e cultura

Di Veronica Moneghini

È luogo comune pensare che in Trentino si parli correttamente il tedesco: in realtà questa è una peculiarità dell’Alto Adige e non di tutta la regione! 

Io sono nata ed ho sempre vissuto nella provincia di Trento e mi viene frequentemente chiesto come mai non parli bene il tedesco come l’italiano. Penso quindi che sia doveroso fare chiarezza sulla nostra bellissima regione: il Trentino-Alto Adige, spesso protagonista di stereotipi e falsi miti. 

In questo breve articolo vi parlerò della storia della regione e delle lingue che vengono parlate sul territorio, le quali la rendono così caratteristica. 
Prima di iniziare però, è necessario che sia ben chiara la distinzione tra il Trentino, la cui provincia è Trento, e l’Alto Adige o Südtirol, la cui provincia è invece Bolzano.

Perché il Trentino-Alto Adige è una regione a statuto speciale? 

L’autonomia speciale del Trentino e del vicino Alto Adige, con cui il Trentino forma la regione autonoma, è nata a seguito dell’accordo italo-austriaco sottoscritto a Parigi il 5 settembre 1946 da Alcide De Gasperi, allora presidente del consiglio italiano e Karl Grüber, ministro degli esteri austriaco. 
Il testo dello Statuto è stato poi sottoposto e approvato dall’assemblea costituente italiana che è successivamente diventata la “Legge Costituzionale n. 5” promulgata il 26 febbraio 1948. 
Come è possibile immaginare, l’autonomia dell’attuale regione non può essere nata dall’oggi al domani, né può essere solamente il frutto di un intervento legislativo. Alle origini della nostra autonomia c’è una storia secolare, fatta di vicende complesse, tradizioni, che le comunità hanno saputo gelosamente conservare a dispetto dei rivolgimenti politici e sociali. 

Val di Fumo (TN)

La storia della regione Trentino-Alto Adige

I popoli trentino e sudtirolese sono uniti da molteplici legami storici e culturali. L’autonomia della regione rappresenta quindi in primo luogo una conquista per entrambi. Il collocamento di questo territorio, posto lungo l’asse del Brennero insieme all’abitudine al contatto e al confronto fra genti diverse, hanno fatto sì che l’autonomia avesse il suo fondamento nel rispetto e nella valorizzazione delle minoranze. L’origine del lungo e complesso percorso per ottenere lo Statuto speciale risale all’epoca medievale. In quel periodo il territorio godeva dello status di principato vescovile sottoposto all’autorità imperiale e tuttavia dotato di capacità politico-amministrative proprie. Passando ad epoche a noi più vicine, dopo la definitiva soppressione del principato avvenuta nel 1813 a seguito degli sconvolgimenti apportati dalla guerre napoleoniche, la regione che oggi conosciamo divenne parte della contea austriaca del Tirolo all’interno dell’impero austro-ungarico. L’avvento della prima guerra mondiale portò profonde lacerazioni e sofferenze tra i militari e la popolazione civile. Al termine di questo periodo drammatico il “Tirolo storico” venne nuovamente diviso.
Il Trentino così, assieme all’Alto Adige/Südtirol, venne incorporato nello Stato italiano tramite la sottoscrizione del trattato di Saint Germain. 

Skiarea Campiglio TN

La lotta per l’autonomia

Per oltre vent’anni la dittatura fascista ha soffocato qualsiasi tipo di diritto per le minoranze. Parliamo di ladini, mocheni e cimbri in Trentino, ladini e sudtirolesi in Alto Adige. Fu così repressa anche qualsiasi speranza autonomistica. Solo al termine della Seconda Guerra Mondiale si tornò finalmente a parlare di autonomia del territorio. E fu riconosciuta grazie alla firma dell’accordo di Parigi tra Alcide De Gasperi, che nel frattempo era stato nominato capo del governo italiano, e dal sopracitato austraico Karl Grüber. 

Il primo Statuto di autonomia non rappresentò tuttavia la completa soddisfazione alle richieste di autogoverno avanzata dal territorio, nonostante questo senza dubbio rappresentasse un indicibile passo avanti rispetto all’epoca precedente. Iniziò quindi una nuova stagione di rivendicazioni, la quale fece da sfondo a scenari drammatici di cui  regione porta tuttora le cicatrici. 

La sottoscrizione del secondo Statuto, avvenuta nel 1972, accolse finalmente le richieste delle due province Trento e Bolzano. Si avviò così una nuova stagione protagonista di rapporti pacifici tra Trentino-Alto Adige e il governo centrale di Roma. 

Rifugio Ai Brentei 2182 s.l.m.(TN)

La questione della lingua in Trentino-Alto Adige

Nonostante le province di Trento e di Bolzano facciano entrambe parte della regione a statuto speciale, presentano differenze che riguardano aspetti politici, linguistici e culturali.

Tornando quindi alla fatidica domanda: “In Trentino si parla il tedesco?”. La risposta corretta è: “Non proprio”. Questo perché la maggior parte degli abitanti della bella regione è di madrelingua italiana. È proprio vero però che sul nostro territorio si possono sentire parlare lingue diverse, ovvero quelle delle minoranze sparse nella regione. Una di queste è il ladino, derivante dal latino, il quale si sviluppa in diverse varianti a seconda della posizione geografica tra Svizzera, Alto Adige e Trentino. Il cimbro e il mocheno invece, sono due minoranze che derivano dalla lingua tedesca. Si sono sviluppate in seguito ad immigrazioni risalenti all’epoca medievale per la ricerca di nuovi appezzamenti o per la ricerca di un lavoro come minatori (“canopi”). 

Conclusioni

Abbiamo quindi appreso perché il territorio del Sud Tirolo veda la maggior parte della propria popolazione parlare perfettamente il tedesco, a fianco dell’italiano. La lingua fa parte dell’identità di questo territorio. Non è quindi fuori dal comune sentir pronunciare “buongiorno” seguito da un “Gutenmorgen” quando si ordina un caffè al bancone del bar. Il fattore bilingue è uno dei segni dell’identità dell’Alto Adige, in cui sia italiani che tedeschi si sentono a casa. Per quanto riguarda il Trentino invece i trentini si riconoscono come italiani. Ed è per questo che non tutti sentono la necessità di portare avanti lo studio della lingua tedesca oltre la scuola dell’obbligo, preferendo magari l’approfondimento di altre lingue.

Una delle tante differenze che caratterizzano le due province è che l’attestato del bilinguismo C1, il quale certifica le conoscenze linguistiche in base al QCER. Questo è un requisito fondamentale per poter lavorare a tutti i livelli funzionali della Pubblica Amministrazione in Alto Adige, mentre in Trentino non è necessario disporne.

Un’altra differenza è che le famiglie possono decidere di iscrivere i propri figli ad una scuola in lingua tedesca o in lingua italiana. Nella zona più a sud della regione invece, non esiste questa possibilità. Si cerca però di potenziare l’insegnamento della seconda e terza lingua attraverso il CLIL, progetto che consiste nell’insegnamento di alcune materie (nel caso del mio liceo, di storia dell’arte e scienze) in lingua tedesca o inglese da parte degli insegnanti di ruolo i quali vengono poi affiancati da docenti madrelingua straniera. 

Abbiamo quindi visto una presentazione sulle differenze e somiglianze presenti all’interno di questa bellissima regione. Mi auguro di aver fatto chiarezza sui dubbi dei lettori in modo che, se avranno modo di visitare per la prima volta il Trentino-Alto Adige o di ritornarci, saranno a conoscenza delle sue caratteristiche e peculiarità.

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Panoramica sulla libertà di stampa

La classifica di RSF e la situazione dell’Italia

Spesso si dice che lo stato di salute della democrazia di un paese si vede dalla sua libertà di stampa. Vi siete mai chiesti come stia la democrazia del nostro paese? 

Se siete in cerca di risposte, questo è l’articolo che fa per voi.

Oggi nel blog di Unicollege faremo il punto della situazione sulla libertà di stampa in Italia ed analizzeremo il World Press Freedom Index 2024 di Reporter Senza Frontiere, lo studio che ogni anno ci aggiorna sulla libertà di stampa nel mondo. 

Reporter senza frontiere (RSF) è una organizzazione non governativa (ONG) e no-profit che difende la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti in tutto il mondo, la sua sede è a Parigi e collabora strettamente con l’ONU da ormai molti anni. Il lavoro di questa organizzazione è fondamentale, perchè punta i riflettori sui problemi che affliggono la stampa a livello globale tra cui: censura, intimidazioni, minacce, violenza fisica e psicologica, sequestri e omicidi ai danni dei giornalisti di tutto il mondo. 

Da anni la ONG pubblica l’Indice della libertà di stampa, una classifica di nazioni in base alle condizioni della loro stampa. Il rapporto viene aggiornato ogni anno e viene stilato tramite un questionario che viene inviato a tutte le organizzazioni che collaborano con RSF, ubicate in tutto il mondo e redatto da giornalisti, addetti ai lavori, giuristi ed attivisti. Le questioni su cui vertono le domande del questionario sono:  l’indipendenza dei media dagli organi di governo, la censura, l’autocensura, le minacce ricevute dai giornalisti, le pressioni ricevute da gruppi malavitosi ed organizzazioni mafiose, omicidi nei confronti di giornalisti, querele, detenzioni ingiuste e diffamazioni. 

La classifica del 2024

La classifica dell’anno corrente vede nelle prime 3 posizioni Norvegia, Danimarca e Svezia, poi Paesi Bassi, Finlandia, Estonia, Portogallo, Irlanda, Svizzera e Germania a completare la top 10 ed invece Afghanistan, Siria ed Eritrea a chiudere la classifica, con l’Eritrea fanalino di coda con la 180esima posizione.

 L’Italia si trova in 46esima posizione, ma analizzeremo il caso del nostro paese in seguito. Adesso concentriamoci sull’analizzare la situazione regione per regione. 

La regione in cui la situazione della libertà di stampa è peggiore è quella del Maghreb e del Medio Oriente, in cui ciò che avviene in Palestina da 10 mesi aggrava una situazione già tragica negli anni passati.  Solamente in Palestina, infatti, negli ultimi mesi sono più di 100 i giornalisti uccisi, di cui più di 20 morti mentre svolgevano il loro lavoro. Nello specifico in Medio Oriente i paesi in cui la libertà di stampa versa in condizioni “molto gravi” sono Yemen, Arabia Saudita, Iran, Palestina, Iraq, Bahrein, Siria ed Egitto

A seguire troviamo la regione dell’Asia-Pacifico dove la stampa è imbavagliata dai governi autoritari e dove possiamo trovare cinque dei dieci paesi più pericolosi di tutto il mondo Myanmar, Cina, Corea del Nord, Vietnam e Afghanistan.

Anche l’Africa sub-sahariana ha vissuto un annus orribilis dopo le violenze che hanno contraddistinto le elezioni del 2023 e qui i paesi con il peggior punteggio sono Niger, Burkina Faso e Mali. 

Spostandoci ad Occidente nelle Americhe la situazione continua a non essere delle migliori, con il Messico che è ancora uno dei paesi più pericolosi per i giornalisti a causa dell’attività incessante dei cartelli del narcotraffico. Anche gli Stati Uniti, però, indietreggiano di 10 posizioni e occupano ora la 55esima posizione. 

I paesi in cui la stampa gode di maggiore salute sono quelli Europei, grazie alle leggi sulla libertà di stampa promosse dall’Unione Europea, tuttavia non mancano i casi problematici come quelli di Ungheria, Malta e Grecia in cui le pressioni governative limitano le libertà e il lavoro dei giornalisti. Se ci spostiamo ad Est, poi, la situazione peggiora ulteriormente con Russia, Turkmenistan e Bielorussia che assumono atteggiamenti sempre più preoccupanti nei confronti della stampa. 

La situazione della libertà di stampa in Italia

Analizzando nello specifico la situazione del nostro paese, salta subito all’occhio un peggioramento nella posizione in classifica, che passa dal 41esimo posto del 2023 al 46esimo. 

Ma come mai l’Italia si trova così in basso?

Leggendo il rapporto che Reporter Senza Frontiere ha dedicato al nostro paese si possono trovare le motivazioni che hanno portato a questo risultato preoccupante. Per la ONG, infatti, la stampa non gode di ottima salute e anzi presenta vari questioni problematiche che limitano l’azione dei giornalisti. 

In primis uno dei problemi che ha portato al peggioramento della classifica è la promulgazione della cosiddetta “legge bavaglio”, che introduce il divieto di pubblicazione “integrale o per estratto” dell’ordinanza con cui i giudici formalizzano una misura cautelare. Questo emendamento, promosso dal deputato di Azione Enrico Costa, è stato molto contestato dal mondo della stampa italiana che lo vede come un vero e proprio bavaglio nei confronti degli organi di informazione

Un altro grande problema è quello della forte e crescente presenza di procedure SLAPP verso i giornalisti. Le SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation ) sono azioni legali intraprese nei confronti dei giornalisti con la volontà di intimidirli e limitare il loro lavoro. Questo genere di procedura è sempre più utilizzato dagli organi di potere per spaventare la stampa e farla desistere dall’intraprendere inchieste. Spesso, infatti, è sufficiente una minaccia per ottenere ciò che si desidera, poiché iniziare una causa legale per diffamazione sarebbe troppo lungo e costoso per il giornalista stesso. Ciò può, talvolta, portare anche all’autocensura, pratica sempre più diffusa che porta i giornalisti a tacere di importanti questioni per paura di ripercussioni personali. 

Continuando il rapporto di RSF dedicato all’Italia troviamo un chiaro riferimento alla vicenda Angelucci-AGI. Il deputato della Lega Nord Antonio Angelucci, infatti, sta cercando ormai da tempo di acquistare la seconda agenzia di stampa del paese, la AGI. Questa acquisizione non è vista di buon occhio dall’opposizione e dalla Commissione Europea, in quanto potrebbe ledere al pluralismo dell’informazione e alla trasparenza della stampa. 

Proseguendo notiamo anche un paragrafo dedicato alla censura, attuata dagli organi di stampa statali (RAI) nei confronti di alcuni personaggi ritenuti “scomodi” dal potere. Qui, è chiaro il riferimento al caso Antonio Scurati, lo scrittore il cui monologo sull’antifascismo è stato cancellato dalla trasmissione “Che Sarà” di Serena Bordone lo scorso 25 aprile. Inoltre, la pressione posta dal governo di Giorgia Meloni nei confronti degli organi di informazione a partire proprio dalla Rai rappresenta un pericolo per l’accuratezza e la trasparenza dell’informazione offerta ai cittadini. 

Infine, una delle questioni più gravi che colpiscono la stampa italiana è la massiccia presenza sul suolo nazionale di organizzazioni criminali di stampo mafioso, che minacciano i giornalisti che intraprendono inchieste in questo campo. Secondo le cifre dell’associazione Ossigeno per l’informazione, solo nel primo trimestre del 2024 le minacce nei confronti dei giornalisti sono state 133 su 43 episodi, nel 2023 sono stati 500 su 185 episodi e dal 2012 al 2024 sono state ben 3365, di cui il 15% aggressioni e il 38% abuso di denunce e azioni legali. 

Qui, in conclusione, lascio il link al sito di Reporter Senza Frontiere dove potete consultare l’Indice della libertà di stampa 2024 ed approfondire i singoli report dedicati ai 180 paesi in classifica. 

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Cultura inglese, civiltà e istituzioni: un viaggio intorno alla lingua globale

Di Alessandra Andreani

Ho da poco terminato in qualità di docente il corso di cultura, civiltà e istituzioni inglese e colgo l’occasione per riassumere brevemente le tappe fondamentali di questo viaggio intorno alla lingua globale.
All’interno di una università di mediazione linguistica, le lingue vengono studiate in modo pratico ed applicato e a questo percorso si aggiunge l’esame di cultura della lingua studiata.
Quali sono i temi affrontati e le caratteristiche principali di un corso di cultura?


I docenti possono affrontare la questione da più punti di vista. Ed è fondamentale farlo perché parlare una lingua straniera, padroneggiarla tramite i modi di dire applicando correttamente tutte le sue regole, significa conoscere anche la sua cultura. Non si tratta semplicemente di sapere le caratteristiche principali che costituiscono il bagaglio culturale di una nazione come usi e costumi, cibi e tradizioni, musei e bellezze architettoniche. Tutto consiste nell’apprendere qualcosa di più profondo, qualcosa che ha anche a che fare con i valori, con le credenze, con l’esperienza diretta e anche con una certa predisposizione a superare giudizi e pregiudizi.

La definizione stessa del termine cultura ci indica che si tratta di un ‘an umbrella term’. Questo sottintende che sotto questa parola ci siano tanti altri aspetti, alcuni tangibili altri meno e reperibili solo dopo un periodo vissuto da local.

L’immagine dell’iceberg per comprendere appieno il concetto di cultura

Un altro modo per definire la cultura è senz’altro l’immagine dell’iceberg, perché?

La caratteristica principale dell’iceberg è proprio quella di vedere solo una minima parte. Tutto il resto, di cui non si conosce bene l’entità, è sotto la superficie dell’acqua. Dunque appena atterriamo all’aeroporto ci imbattiamo immediatamente nelle differenze più evidenti. Tra queste ci sono la lingua, il cibo, le uniformi, la modalità di salutare, la gestualità e via discorrendo. Per comprendere invece le altre, quelle meno evidenti, occorre fare un’esperienza più lunga, vivendo in prima persona la città, il luogo, le persone e le istituzioni locali. Tramite questa immagine si capisce dunque quanto la definizione di cultura sia profonda e complessa.

I tradizionali autobus di Londra

Un viaggio nella lingua inglese da analizzare geograficamente

Iniziamo il nostro viaggio analizzando geograficamente i paesi che parlano la lingua inglese. Prenderemo poi in esame gli aspetti meramente linguistici grazie anche alle dissertazioni fornite dal linguista David Crystal, Tutto questo per sfatare il mito per cui la lingua inglese si è diffusa grazie alla sua apparente semplicità e poi per comprendere le ragioni, i rischi e il futuro di una lingua globale.
Analizziamo gli aspetti storici, politici, con un particolare riferimento ai political speeches come quelli di Winston Churchill durante la seconda guerra mondiale o il Victory speech tenuto dal 44° presidente Barack Obama nel 2008. Questi esempi ci rivelano non solo l’importanza delle parole e il potere delle medesime ma anche l’immagine di un determinata nazione. Continuiamo il nostro viaggio volgendo lo sguardo verso la letteratura con un riferimento a chi è andato oltre la lingua creando nuove parole e nuovi significati come Lewis Carroll e le sue portmanteau words. Approdiamo poi in un periodo relativamente più recente dove si affrontano temi sociali e culturali, documentati da film, canzoni e movimenti di cui si sente spesso parlare come la ‘beat generation’. Ultima tappa: internet e l’avvento dei social media e una comunicazione digitale dove l’inglese regna sovrano!

Winston Churchill

Il contributo fondamentale degli studenti per completare il viaggio nella lingua inglese

Si tratta di un viaggio lungo, qualche volta difficile, arricchito dal contributo degli studenti sotto forma di commenti, realizzazione di mini e maxi progetti di gruppo che mi lasciano sempre piacevolmente esterrefatta.
Generalmente propongo loro una lista, un format e un insieme di regole affinché ogni individuo abbia la possibilità di esprimersi.

La costituzione dei gruppi, in un corso particolarmente nutrito, è fondamentale proprio per vedere tutte le personalità in azione e per cercare di ‘tenere impegnati’ quelli più esuberanti e far emergere quelli più timidi.

Qualche gruppo resta in una zona di comfort, scegliendo un argomento relativamente semplice e qualche volta invece, vanno oltre, scoprendo connessioni e approfondimenti davvero interessanti. Si tratta di un compito per esercitarsi su più lati, dal cercare le fonti all’organizzazione di un pensiero critico, fino ad esporre il proprio elaborato davanti alla classe.

Uno scorcio dei grattacieli di New York

In conclusione…

Non c’è una ricetta magica e non sempre la combinazione, docente-studenti, funziona ma certamente la didattica, a mio avviso, non si dovrebbe mai allontanare troppo dal fatto che siamo, tutti, esseri umani e come tali lo scambio diviene il maggior promotore del funzionamento di un corso.

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Bambini e tecnologia: rapporto “tossico” o educativo?

L’evoluzione del digitale… nei bambini

Il mondo del digitale, così come la tecnologia in generale, è ormai entrato a far parte totalmente della nostra vita quotidiana. Che sia nell’attività scolastica di bambini e ragazzi, nel gioco o nel tempo libero, fino a lavoro e svago. Tutto ciò però rischia di minare quello che è il suo utilizzo primario, sottovalutando tutti i danni irreversibili che si potrebbero causare in particolar modo nei soggetti giovani, dove lo sviluppo delle abilità di base non è ancora ultimato. 

Utilizzo della tecnologia come metodo educativo                 

Va sempre più di moda lasciare che bimbi di età compresa tra i due ed i tre anni utilizzino tablet e smartphone con nonchalance. Spesso ciò succede addirittura ancora prima che abbiano acquisito ed interiorizzato le competenze motorie e linguistiche proprie della loro età. Questo perché, solitamente, i device sono la soluzione più economica ed a portata di mano in grado di intrattenere i bambini nei momenti di condivisione e di relax dei genitori. Si pensi ad un semplice pranzo in un ristorante o alla coda al supermercato: quanto risulta comodo che il bambino rimanga incollato allo schermo e non “stressi”? L’uso scorretto di questo “metodo educativo economico” comporta, però, anche gravi rischi: molti bambini infatti, passano una quantità eccessiva di tempo davanti ad uno schermo già in età prescolare. Attraverso queste tecnologie possono vedere cartoni animati e film di qualsiasi tipo cercandoli in maniera autonoma e passando da un episodio all’altro senza mai fermarsi.

Considerazioni in merito ai rischi

Da recenti studi italiani, emerge che un bambino su due ha già fatto utilizzo della tecnologia prima dei due anni. Uno su cinque, invece, addirittura prima dell’anno di vita (ancor prima di iniziare a parlare). Ciò comporta problemi di vario tipo: cognitivi, emotivi, motori e soprattutto relazionali. Dobbiamo tenere in considerazione che uno dei più importanti traguardi nello sviluppo dei bambini, è l’acquisizione delle abilità di autoregolazione. Quest’ultima permette di monitorare e modulare i pensieri, il comportamento e le emozioni. 

Effetti negativi..

È fondamentale considerare tutti gli effetti negativi e devastanti derivanti dall’utilizzo smodato di shut up toys o digital pacifiers. Questi dispositivi sono usati per “controllare” il bambino, che non giocando, risulta uno spettatore passivo, ammaliato ed affascinato. Egli però, così, non impara a calmarsi attraverso un sistema di autoregolazione interno. È, infatti, nei primi due anni di vita che si verifica un’enorme crescita cerebrale. Durante questo periodo il cervello è impegnato sia a costruire collegamenti strutturali e funzionali che a creare la neuro-architettura essenziale per sostenere la vita e l’apprendimento. 

Il cervello, per svilupparsi in tutte le sue aree, ha bisogno di stimolazioni ambientali, soprattutto attraverso interazioni umane, naturali e di gioco. Piazzando i bambini davanti agli schermi, pertanto, li priviamo di questi stimoli e modifichiamo la possibilità di sviluppo del loro cervello. Il loro sviluppo neurologico è influenzato principalmente da tre fattori: esperienze di vita quotidiana, interazioni concrete che coinvolgono tutti i cinque sensi ed attivazione emotiva.

Lo sviluppo neurale a lungo termine può essere influenzato, anche, dalle prime esperienze di apprendimento. A differenza dell’età adulta, infatti, l’infanzia è il momento in cui si verificano cambiamenti significativi nella struttura anatomica e nella connettività del cervello. Esistono, poi, anche sintomi secondari legati all’utilizzo della tecnologia: ne sono un esempio i comportamenti sedentari, che non permettono un pieno sviluppo motorio e non favoriscono la salute neurologica infantile. Il tempo impiegato nei videogiochi, ne sottrae a giocare attivamente sviluppando creatività, fantasia e abilità di problem solving.

Riflessioni di una professionista del settore: intervista all’insegnante di scuola dell’infanzia Arianna Ferrarese

Intervistando La maestra Arianna Ferrarese siamo riusciti ad approfondire la tematica; in sede di collegio docenti ha espresso la sua opinione proprio in merito alle difficoltà oggettive riscontrate nell’ultimo decennio soprattutto nella fascia d’età 3-6 anni

“Molti bambini presentano delle difficoltà nel linguaggio proprio perché non sono abituati allo scambio o alla semplice interazione con l’adulto. Quest’ultimo vivendo, infatti, nell’era digitale trasmette al bambino, seppur senza volerlo, questo modo di relazionarsi.

Sostiene la maestra che: “Se in passato avendo le mamme la possibilità di non lavorare e non esistendo la tecnologia si riusciva ad instaurare un rapporto più genuino con il figlio, sviluppandone inconsciamente le abilità linguistiche di base, ora a causa della grossa mole di lavoro, i genitori non hanno più il tempo necessario da dedicare al figlio e danno loro un intrattenimento diverso”.

In merito alle abilità oculo-manuali, l’insegnante sostiene: ”alcuni alunni presentano diverse incertezze nell’utilizzo delle forbici e dei punteruoli. Altri colorano in modo frettoloso e svogliato non rispettando i contorni delle figure perché non abituati a svolgere queste attività anche in casa”.

Per quanto riguarda il pregrafismo e la prelettura in vista della scuola primaria, Arianna afferma: “alcuni presentano difficoltà nell’impugnare la matita in modo corretto e a rispettare i margini o i quadretti. Ulteriori difficoltà si riscontrano al momento dello svolgimento delle prime consegne di base, come lo scrivere lettere e numeri e la successiva lettura”.  

LINK UTILI PER APPROFONDIRE LA TEMATICA

https://www.psicologiacontemporanea.it/blog/limpatto-delluso-della-tecnologia-nei-bambini/

https://percorsiformativi06.it/dispositivi-digitali-e-bambini/

https://www.trainingcognitivo.it/sviluppo-del-linguaggio-e-uso-della-tecnologia-vi-e-una-relazione/

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La storia di Alessandro: una pericolosa trasformazione dettata dalla società moderna

Avete mai sentito parlare della storia di Monica Marchioni, suo figlio Alessandro e il marito Loreno Grimandi? Di cosa, davvero, successe quella notte del 15 aprile 2021 a Casalecchio di Reno? Che cosa, effettivamente, avesse spinto il figlio a compiere un tale gesto? Se non ne sapete nulla, allora mettetevi comodi perché faremo un viaggio nell’assurdo per approfondire il ruolo che ha avuto la società attuale.

Alessandro Leon, da angelo a diavolo

15 aprile 2021, ore 20. Alessandro Leon, allora ventunenne, tenta di uccidere avvelenandole due persone: la madre, Monica Marchioni, e il compagno di lei, Loreno Grimandi. Ma facciamo un passo indietro: Alessandro è sempre stato un ragazzo meraviglioso, il figlio che tutti i genitori vorrebbero avere. Altruista, generoso, disponibile, amorevole, affettuoso, dolce, insomma, un animo buono. Si preoccupava di aiutare i vicini o di prendersi cura del nonno. Sicuramente, i genitori non potevano recriminargli nulla. Poi, senza apparente motivo, il drastico cambiamento: il ragazzo cominciò a sviluppare una cattiveria e un’aggressività mai viste prima. Diventò completamente apatico e inerte a tutto ciò che lo circondava. I suoi occhi, carichi di odio e rancore, risultavano alla sua stessa mamma ormai irriconoscibili. Monica afferma, infatti, che “si era trasformato da dottor Jekyll a mister Hyde”. Tanti, prima di quella notte, erano stati i segnali che lasciavano intendere che qualcosa in lui non andasse. Tante, forse troppe, erano le cose che stavano cambiando in quel periodo, ma nessuno mai si sarebbe aspettato una fine simile. I ricordi sono piuttosto nitidi nella mente di Monica: il suo Alessandro, l’animo buono e gentile che conosceva, stava provando ad ucciderla, ad uccidere entrambi, e ciò che non avrebbe ucciso con il nitrato di sodio, lo avrebbe fatto con le sue stesse mani. (Se voleste approfondire la storia: https://www.fanpage.it/attualita/monica-marchioni-avvelenata-dal-figlio-con-le-penne-al-salmone-non-aveva-empatia-voleva-leredita/)

Riflettiamo insieme…

Ora, vi chiederete perché ho deciso di portare proprio questo contenuto, che all’apparenza può sembrare simile a tanti altri visti e rivisti. Credo che questa storia abbia qualcosa in più, qualcosa su cui riflettere, qualcosa su cui ognuno di noi dovrebbe interrogarsi. Come è possibile che un ragazzo d’oro, amato e benvoluto da tutti, in così poche settimane cambi completamente? Ecco, sono certa che ci sarebbe un mondo da aprire. Dall’influenza dei film e delle serie tv, fino ai social network e alla società odierna. D’altronde lo dice anche la signora Marchioni: Alessandro non era depresso, non aveva problemi psichici, non era in stato alterato, insomma nessuno di questi problemi. Voleva semplicemente l’eredità dei genitori, l’unica cosa a cui era interessato.

Non so dirvi cosa abbia davvero portato Alessandro a compiere un gesto simile, come probabilmente non lo saprà mai nessuno, ma proviamo a fare un ragionamento insieme: quante volte con film, serie tv, meme sui social e vignette sono proprio questi i “valori” che vengono trasmessi? La violenza, la cattiveria, il male, il menefreghismo e l’egoismo. E quindi, non è forse “normale” aspettarsi che i giovani di oggi, così esposti ed abituati a questo tipo di comunicazione, crescano con queste idee? Oramai, non c’è più da stupirsi se un ragazzo aggredisce un genitore, un professore o un coetaneo. E nemmeno se manifesta comportamenti aggressivi e violenti anche solo verbalmente. Questo perché è proprio la nostra società ad insegnare tutto questo. Una società dove il bene, il rispetto per il prossimo e la gentilezza sono ormai passati di moda, perché fare il duro fa più “figo”.

Tips per un mondo così crudele

Il mondo è incredibilmente sempre più crudele, sempre più meschino, sempre più cattivo: il mondo, in ogni sua sfaccettatura, in ogni suo angolo più remoto, ti insegna che per vivere su questa terra bisogna tirare fuori le unghie e i denti, che bisogna “attaccare per non correre il rischio di essere attaccati”. Perché proprio come nelle teorie di Darwin, solo il più forte resiste. E così, è sempre più comune vedere giovani adolescenti che crescono caratterizzati da cattiveria e male, che, seppur rimanendo latenti, crescono in loro giorno dopo giorno mangiandoli da dentro. La domanda quindi è: si può fare qualcosa a riguardo? Che cosa? Le parole chiave sono tre: osservare, analizzare e intervenire. È necessario osservare, ogni giorno, le persone che ci circondano, notando in loro possibili cambiamenti evidenti; è necessario quindi analizzare questi cambiamenti, grandi o piccoli, visibili o nascosti, e interrogarsi sulle possibili motivazioni alla base di questi; infine è necessario intervenire, perché intervenire significa proteggere chi ci sta intorno, tutelare, indirizzare sulla strada giusta senza permettere all’odierno mondo crudele di avere la meglio.

Questo lavoro va fatto non solo nelle abitazioni e in famiglia, ma anche a scuola, nello sport e nei principali momenti di condivisione. Il carcere, purtroppo, non è certo la soluzione al problema: si tratta, infatti, di un problema che nasce alla radice di questa società alle volte “malata” e “tossica”. Forse, però, cominciando a prendere consapevolezza di ciò che il mondo sta diventando e sta consequenzialmente causando ai suoi cittadini, saremo in grado di prendere provvedimenti concreti per rendere il mondo, forse non un posto migliore, ma sicuramente più “civilizzato” e “abitabile”, dove la violenza e il dolore non saranno più la soluzione a qualsiasi problema.

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Il mio Erasmus a Malaga: storia di un’esperienza di viaggio e studio

di Luca de Simone

Volete davvero sapere che esperienza é stata il mio Erasmus a Málaga?
Non penso che possano esistere parole per descrivere le emozioni che mi porterò dentro per sempre. Si suol dire “arricchire il bagaglio culturale” di una persona, ma io credo che all’aeroporto sarei dovuto arrivare con decine di questi ultimi.

Viaggiare per l’Erasmus

Viaggiare è la prima ragione che mi ha portato a intraprendere questo cammino. Mi sento libero
e lo consiglio a tutti! È sicuramente un’opportunità per conoscere se stessi. Mi è capitato di viaggiare da solo a Lisbona o in Irlanda del Nord e in molti altri posti, ma oggi non siamo qua a parlare di questo. Malaga è una città che ho scoperto essere molto adatta alle mie esigenze quotidiane. Non sono una persona difficile, amo il sole, il mare e una buona mentalità tra le strade.
Malaga è solare, piena di vita e colori, e allo stesso tempo, piena di turismo e persone da tutto il mondo curiose di scoprire cosa cela questa città. Infatti, vivendo l’Erasmus ho avuto l’opportunità di praticare tutte le mie lingue di studio, ovvero inglese, spagnolo e francese.
Per chi vuole sentirsi libero e vivere un periodo molto tranquillo, consiglio di prendere in considerazione questa città.

La prima attività che ho svolto

La prima cosa che ho fatto è stato posare le valigie, vedere un attimo la casa, e correre a scoprire l’università. Ero troppo curioso, me ne avevano parlato bene perché una compagna di studi ha passato il primo semestre lì e solamente all’idea ero euforico. Devo dire che sono rimasto sbalordito. Ho sempre voluto studiare in un contesto universitario grande come una specie di campus con mense, palestra, piscina e campi sportivi.

Alloggio e sport

Per quanto riguarda la casa non è stato molto difficile trovarla visto che dei compagni dell’università avevano passato il primo semestre in Erasmus a Malaga; dunque non ho fatto molte ricerche perché mi sono affidato a loro e, alla fine, ho scelto una casa tra il mare e all’università, quindi era molto comodo la mattina raggiungere il campus perché vivevo a due fermate della metro. Non ho avuto particolari problemi con le distanze visto che la città è pressoché collegata bene dalla metro, bus o taxi.
L’unico problema era la notte, da circa mezzanotte alla mattina dopo. La metro riapriva verso le 6:30 del mattino, però avendo fatto molte amicizie ho sempre trovato
persone che mi hanno ospitato a dormire e quindi questo ha creato ulteriori emozioni e connessioni tra persone che è una cosa che amo. La casa in cui vivevo era grande con molto spazio, luminosa e ventilata con un grande salone, tre divani ed una televisione enorme, dove ho guardato il telegiornale, programmi televisivi spagnoli e invitato compagni dell’università a vedere la finale di Champions League o a mettere un po’ di musica prima di uscire.
A Malaga inoltre promuovono molto lo sport e questa è una delle cose che ho adorato di più. Mi sono subito
iscritto e per vari mesi sono andato in piscina circa mezz’ora per riscaldare i muscoli e poi in sala pesi ad allenarmi per un’ora e mezza. È stato gratificante perché non avevo mai fatto nuoto come un vero e proprio sport quindi è stato bello poter approfondire questa parentesi e scoprire vibes nuove.

L’esperienza universitaria in Erasmus

L’esperienza universitaria è stata magnifica, tutti mi hanno accolto come se fossi uno di loro.
I professori sono molto disponibili, alla mano, ma soprattutto cercano di diffondere un contesto super informale, completamente diverso da noi in Italia. Qui a Malaga, tutti i professori venivano chiamati per nome o addirittura con l’abbreviazione del nome, mentre noi al massimo diciamo “prof” e quasi suona irrispettoso.
Poi è successa una cosa molto bella che non mi scorderò mai. Era il primo giorno di università e a fine lezione si sono avvicinati un ragazzo ed una ragazza e mi hanno detto: “Ciao, visto che sei uno studente Erasmus dall’Italia e noi amiamo l’Italia”, potresti iniziare ad uscire con noi e
vivere Malaga nel vero senso della parola?”.
Devo dire che non mi sono mai sentito completamente
solo. Questa è un dettaglio che ha fatto sì che questa esperienza sia indimenticabile.

Mappa del campus universitario di Malaga

Tempo libero e gastronomia

Il tempo libero è stata una delle parti più belle interessanti perché d’altronde fare quello che ci piace è il massimo. Divertirsi, uscire, bere qualcosa, fare esperienze, andare a ballare, vedere tramonti, panorami, camminare, cucinare… Niente di tutto questo ha un prezzo!
La mia giornata tipo in settimana era abbastanza stabile: lezione, palestra/piscina e pranzo all’università. Tutto questo avveniva in zona universitaria perché all’interno del campus c’era tutto. Verso cena tornavo a casa, spesso cucinavo qualcosa perché adoro cucinare e invitavo spesso anche i colleghi dell’università che rimanevano sempre contenti.
La gastronomia spagnola è davvero magnifica partendo dalle tapas, dal prosciutto, la qualità dell’olio e delle arance, arrivando alle empanadas, tortillas e molto altro… Una delle cose che mi è piaciuta di più, e che descrive molto l’ambiente spagnolo, è l’informalità che c’è tra le strade spagnole. Invece di finire a cenare in ristoranti, la maggior parte delle persone qua si siedono a bere un paio di birre e a stuzzicare qualcosa. Questo è sia più umano, ma anche più “terra terra” ed economico. Purtroppo, negli ultimi anni stanno creando un business gigante dietro alle tapas, che prima erano gratis nel momento in cui ordinavi qualcosa da bere, invece adesso sono piatti a parte da pagare.

Prima di partire…

Sono una persona che cerca di rispettare molto se stessa. Come ultima cosa vi aspettate che abbia
salutato gli amici che ho conosciuto qua… Beh sì è successo ovviamente, ma quello che amo
fare è salutare quei posti da solo, luoghi che mi hanno regalato tantissime emozioni ed esperienze
e dunque, andare lì e passare delle ore in silenzio per rivivere le stesse emozioni. Senza ombra di
dubbio, il posto più mozzafiato che raccomando per un tramonto e per guardare le luci della città
è Monte Victoria, a pochi passi dal centro della città.

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La Geopolitica della musica: il caso dell’Eurovision Song Contest

di Rebecca Princiotta Cariddi

Esiste un vero e proprio legame tra due mondi così diversi come quello della Geopolitica e quello della musica? A seguito dell’analisi della musica come strumento di soft power e del caso empirico dell’Eurovision Song Contest, è possibile affermare che queste due realtà, che potrebbero sembrare alquanto remote a primo impatto, sono in effetti legate da un nesso intrinseco tra di loro. Questo articolo
analizza, da diverse prospettive, il rapporto che unisce la Geopolitica e la musica.

Il soft power come strumento geopolitico

Il concetto di potere è da sempre considerato molto complesso, date le sue molteplici sfaccettature.
Esso può distinguersi in hard e soft power, i quali corrispondono rispettivamente al potere basato sulla metafora del “bastone e la carota”, quindi su forza e diplomazia coercitive, sanzioni economiche e anche ricompense o offerte di alleanza, eccetera; mentre il soft power è quella dimensione di potere basata sulla metafora della calamita, ossia la capacità di persuadere le nazioni in maniera più soft, e quindi attraverso la sfera culturale, la quale racchiude anche la musica, le tradizioni e altro, poi anche mediante i valori politici, la politica estera eccetera. Esistono diverse
prospettive e pensieri rispetto al concetto di soft power che hanno rilevato altre risorse e sfaccettature di questa dimensione di potere, oppure lacune nel modello base originale di Joseph Samuel Nye Jr. Infine, esiste anche lo smart power, nonché l’evoluzione e l’unione di hard e soft
power, una combinazione equilibrata e ideale per le nazioni nello scenario geopolitico internazionale.

La Geopolitica della musica

L’analisi della musica come strumento diplomatico di soft power, ossia quando essa diventa simbolo di un linguaggio transnazionale universale e, soprattutto, quando viene percepita come tale
dalla popolazione globale, rappresenta un primo approccio rispetto allo studio del nesso che lega la sfera della Geopolitica a quella della musica. Alcuni esempi lampanti sono la cosiddetta Korean
Wave
e l’influenza globale del K-pop con gli interventi e i progetti del gruppo sudcoreano BTS nell’ambito delle Nazioni Unite, oppure la musica di protesta sociopolitica e quanto essa possa
trasmettere molto più delle semplici parole, trasformandosi in una risorsa e una dimensione unica in grado di coinvolgere le comunità a prescindere dalle differenze, trasmettendo messaggi rilevanti in
qualsiasi contesto, tra cui quello sociopolitico
. È rilevante, da questo punto di vista, il contributo della musica sociopolitica anglo-americana, grazie ai brani di artisti rinomati in questo settore come i Beatles o Bob Dylan. Altrettanto interessante è stato osservare come la musica venga utilizzata spesso anche dai governi a scopo sociopolitico e propagandistico, come avvenne in Spagna con Francisco Franco.

Il caso empirico dell’Eurovision Song Contest

Il punto chiave dell’analisi è quello dello studio del caso empirico dell’Eurovision Song Contest,ossia uno scenario di fama internazionale propriamente geopolitico-culturale. Dal processo di nation branding sviluppato e utilizzato dalle nazioni partecipanti come strategia diplomatica, alla formazione dei cosiddetti “blocchi di voto” con le annesse rivalità, alleanze, manovre e dinamiche geopolitiche, fino alla questione del voto come scelta politica o come scelta artistico-culturale, soprattutto prendendo in esame la vittoria dell’Ucraina nel 2022 e le misure adottate dall’Unione Europea di radiodiffusione dopo l’invasione russa nel febbraio 2022, il festival musicale paneuropeo si dimostra un caso studio più che valido e rilevante a dimostrazione del vero e proprio legame che rende affini la dimensione geopolitica e quella musicale.

Conclusioni

Attraverso quest’analisi risulta evidente che la mente umana non smetterà mai di avvalersi della musica come strumento diplomatico e come veicolo per trasmettere messaggi sociali, politici e geopolitici. Questo indica che la musica sarà quasi sicuramente una delle forme d’arte per
eccellenza che guideranno l’evoluzione sociopolitica del mondo. Il caso studio dell’Eurovision Song Contest, la questione del voto come scelta politica o artistico-culturale, la vittoria dell’Ucraina, la squalifica della Russia, l’assegnazione del massimo dei punti da parte dell’Ucraina
nei confronti di Regno Unito e Polonia (due paesi che hanno da subito supportato lo Stato ucraino dal punto di vista militare e sociale) e altri aspetti analizzati, hanno reso possibile individuare e studiare l’allineamento che si viene a creare tra il sentimento dell’opinione pubblica e gli interessi o gli obiettivi di politica estera delle nazioni partecipanti, incentivando così, da una prospettiva empirica, l’ulteriore dimostrazione del fatto che la musica può essere considerata uno strumento diplomatico di soft power a tutti gli effetti.

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LVMH: storia di un colosso del lusso (Parte 2)

di Ottavia Nannetti

Bentornati sul blog di Unicollege, oggi parleremo del colosso del lusso LVMH, questa è la seconda parte dell’articolo sull’azienda. In questo caso ci concentreremo sulla funzione sociale del brand, i suoi progetti per i giovani, l’importanza che dà all’ambiente e i suoi scenari per il futuro

LVMH per le giovani generazioni

Per LVMH e le sue Maison, che custodiscono un patrimonio inestimabile di mestieri artigianali e creativi, preservare e sviluppare savoir-faire,che talvolta si tramandano da secoli, è una missione

Le Maison si inseriscono all’interno di una storia molto lunga fatta di passione e prestigio. Per preservarne l’identità e l’eccellenza, LVMH ha messo a punto numerosi dispositivi di trasmissione del savoir-faire e di valorizzazione dei mestieri artigianali e creativi verso le generazioni più giovani. Già dal 2000 il Gruppo promuove eventi e corsi di formazione volti alla professionalizzazione delle figure prossime ad entrare a far parte dell’azienda, mettendo a disposizione corsi gratuiti e creando appositi spazi di istruzione. 

  • Il primo progetto di questo tipo, che è stato promosso, è la LVMH House, centro di formazione dedicato ai dirigenti del Gruppo.
  • Nel 2010 stringe un partenariato con la prestigiosa Università di Design londinese “Central Saint Martins”, impegnandosi ad accogliere gli studenti nelle sue Maison e a sostenerli con borse di studio. 
  • Nel 2011 prosegue il processo di visibilità dell’azienda, che decide di organizzare la prima edizione delle “Journée Particulières”, aprendo al pubblico le porte delle sue Maison e dei laboratori. 
  • Nel 2013 il Gruppo ha istituito il premio “LVMH prize for Young Fashion Designers”, che pone al centro dell’attenzione le nuove generazioni di stilisti. 
  • Nel 2014 LVMH lancia l’Institut de Métiers d’Excellence (IME), un programma di formazione professionale che consente al Gruppo di trasmettere alle nuove generazioni preziose abilità e savoir-faire esclusivi. 

Va nominata poi l’iniziativa nata solo due anni fa: il tour “You and ME – Les metiérs d’Excellence en tournée”, un evento dedicato alla scoperta dei programmi di formazione proposti dall’Istituto del ME LVMH e alle opportunità lavorative disponibili nelle Maison del Gruppo nei mestieri della Creazione, dell’Artigianato e della Customer Experience. L’evento annuale è destinato agli studenti per far scoprire più di 280 mestieri d’eccellenza all’interno del Gruppo, oltre alle opportunità formative e lavorative disponibili. L’ultima edizione di questo tour è finita da poco tempo: i Metiérs d’Excellence di LVMH hanno fatto tappa a Firenze il 5 e 6 aprile al Giardino dell’Orticoltura, a Padova il 24 aprile al Centro Culturale Altinate San Gaetano, e per finire il 7 maggio a Napoli, presso Made in Cloister. 

Si segnala inoltre l’ultimo programma lanciato dal Gruppo: Inside LVMH. Per sostenere le giovani generazioni è stato creato questo programma formativo che già nel 2023 ha portato all’assunzione di 39.000 talenti sotto i 30 anni. L’iniziativa ambisce a dare alle giovani generazioni l’opportunità di scoprire l’ecosistema del lusso, di lasciarsi ispirare e arricchire le competenze, permettendo al Gruppo di creare una nicchia di candidati appassionati e qualificati per ognuna delle Maison. Ambisce inoltre a rafforzare l‘interazione con le prossime generazioni, incoraggiando accessibilità, impegno e inclusione. Per usufruire di questo servizio è stata creata ad hoc la piattaforma digitale con l’omonimo nome del progetto, che offre agli studenti l’accesso a contenuti esclusivi del Gruppo e delle Maison, nonché di esperti e professori esterni. La piattaforma digitale propone un percorso educativo fatto di articoli, video, podcast, seminari, ecc. Si tratta di un mezzo per raggiungere una platea di persone più ampia e diversificata nel mondo, formando professionisti futuri ed allo stesso tempo facendo conoscere il Gruppo stesso. Seguendo 4 moduli per un periodo di 8 settimane ed effettuando un quiz finale, gli studenti approfondiscono le proprie conoscenze su LVMH, ed il settore del lusso e arricchiscono il proprio CV con la certificazione INSIDE LVMH. L’iscrizione al corso è possibile fino al 16 maggio dell’anno corrente ed è completamente gratuita.

L’impegno sociale 

Sin dalla sua fondazione, il Gruppo ha fatto dello sviluppo sostenibile uno dei suoi principali orientamenti strategici. Questo impegno fornisce una risposta forte ai temi della responsabilità etica e del ruolo decisivo che un gruppo quale LVMH riveste nel contesto sociale – in Francia e nel resto del mondo. Gli impegni a lungo termine, come la tutela dell’ambiente, si traducono in benefici concreti per la società. Ad esempio, proteggere l’ambiente per LVMH non è solo un obbligo: è un dovere oltre che una fonte di competitività. È un dovere perché il successo a lungo termine delle Maison dipende direttamente dalla salvaguardia e dal rispetto delle risorse naturali impiegate per la realizzazione dei prodotti. Al contempo questa politica porta competitività perché dare rilevanza ai fattori ambientali rende i processi produttivi più affidabili, il che è un vantaggio non da poco sulla concorrenza. 

Già dal 1992 il Gruppo vanta un dipartimento ambientale che ha collezionato grandi risultati nel corso degli anni, e che ha portato nello stesso anno alla realizzazione del primo calcolo dell’impronta di carbonio (parametro che viene utilizzato per stimare le emissioni gas serra causate da un prodotto) e continuando il processo della riduzione dell’impatto ambientale dandone un esempio in occasione dell’Esposizione Universale ad Aichi (in Giappone), in cui Louis Vuitton ha presentato un padiglione fatto di sale, simbolo del suo impegno per la protezione dell’ambiente. 

Nel 2020 il Gruppo ha organizzato la LVMH Climate Week: una settimana di scambi proposta ai suoi collaboratori per condividere le linee di forza della sua strategia ambientale LIFE 360, la sua nuova bussola per i prossimi 3, 6 e 10 anni, e per incoraggiare ciascuno ad essere motore di cambiamento, secondo il motto condiviso: “Be The Change”. 

La diversità è una caratteristica propria di LVMH, la cui forza lavoro conta oltre 190 nazionalità e 4 generazioni che operano in più di 80 paesi. Come lo stesso Gruppo afferma:

“Dalle strutture di approvvigionamento e produzione alla distribuzione, il nostro personale coinvolge un patrimonio di centinaia di métier, che abbracciano ogni anello della catena di valori. Crediamo fermamente nell’unicità, nel talento e nella singolarità delle persone, qualunque sia il loro contesto di provenienza. Apprezziamo punti di vista diversi in quanto rendono la nostra Azienda ogni giorno più creativa, più innovativa e più forte. Perché essere inclusivi non è un lusso. È una scelta.” 

LVMH

Il Gruppo si impegna a promuovere una cultura inclusiva basata sul rispetto, dove ognuno può crescere e innovare, contribuendo così alle performance di lungo termine. Anche le Maison attuano iniziative in linea con il proprio contesto e strategie: le migliori di queste sono riconosciute ogni anno dall’Inclusion Index, che promuove e incoraggia le iniziative di diversità e inclusione in tutto il Gruppo attraverso 6 dimensioni: parità di genere, LGBTI+, disabilità, origini (nazionali e sociali), generazioni e cultura inclusiva (iniziative che contribuiscono a promuovere una cultura inclusiva e a migliorare l’esperienza complessiva dei talenti, partner e clienti del Gruppo). 

Ricordiamo inoltre l’iniziativa avvenuta nel 2019: “Une Journée Pour Soi”, un’iniziativa congiunta con l’organizzazione caritatevole Secours Populaire, destinata a donne in situazione di vulnerabilità in sei città francesi. 

L’ultima iniziativa portata avanti dal Gruppo riguarda un accordo unico (per ora) nel suo genere: LVMH sarà premium partner delle Olimpiadi e Paralimpiadi 2024. Si tratta del più grande impegno economico mai preso da un’azienda a sostegno di una manifestazione o di un evento sportivo. 

“I brand del conglomerato (molti dei quali sono made in Italy) saranno ovviamente in prima linea. Le medaglie saranno firmate dal marchio di gioielleria Chaumet: un iconico marchio di gioielleria di Parigi con centinaia di anni di storia applicherà il proprio savoir faire per creare il design di questi pezzi eccezionali che rappresentano la materializzazione del premio finale per gli atleti, dopo anni di sacrificio e impegno.”

Bernard Arnault

Infine, LVMH, insieme all’organizzazione Secours populaire français, sosterrà un programma per facilitare l’accesso alle discipline sportive per 1.000 tra bambini e giovani tra i 4 e i 25 anni che vivono in situazioni fragili. Il Gruppo, in particolare, finanzierà membership alle associazioni sportive, programmi di allenamento e lezioni per principianti. 

“Lo sport è una straordinaria fonte di ispirazione per i nostri brand, che uniranno l’eccellenza creativa e le performance atletiche contribuendo con il loro savoir-faire e la loro audace innovazione a questa incredibile celebrazione.”

LVMH
FILE PHOTO: LVMH luxury group Chief Executive Bernard Arnault announces their 2019 results in Paris, France, January 28, 2020. REUTERS/Christian Hartmann

Il lusso ad Oriente

Nell’ultimo anno, Bernard Arnault ha più volte convocato i suoi più fidati collaboratori presso la sede del suo impero del lusso in avenue Montaigne per discutere in maniera approfondita su un tema di cruciale importanza: la Cina.

Nonostante le sfide economiche e le crescenti tensioni geopolitiche, LVMH non può permettersi il lusso di abbandonare la Cina: i consumatori cinesi rimangono il moto trainante della crescita del proprietario del lusso. Secondo quanto riferito, Arnault ed il suo teamsono stati avvertiti dei problemi che l’invecchiamento della popolazione cinese potrebbe portare a LVMH: la propensione dei consumatori cinesi al risparmio, piuttosto che alla spesa per beni di lusso, è destinata a rafforzarsi con l’avanzare della loro età. 

Nonostante l’Europa sia il cuore dell’impero di Arnault, negli ultimi tre decenni, la Cina è stata il motore trainante della straordinaria crescita di LVMH. Prima che la pandemia impedisse gli spostamenti, i consumatori cinesi erano soliti imbarcarsi su voli diretti a Parigi e altre capitali della moda, alla ricerca di borse esclusive. Successivamente, hanno cominciato ad affollare le imponenti boutique di Louis Vuitton, Dior e altri marchi di LVMH, i quali hanno guadagnato crescente popolarità in Cina negli ultimi decenni. 

L’aumento dei consumatori cinesi, abituati a spendere generosamente, ha trasformato il panorama del lusso, tanto che ora la Cina contribuisce a circa il 20% delle vendite totali di LVMH. Bernard Arnault è stato proprio uno dei primi uomini d’affari d’oltreoceano ad investire in Cina all’inizio delle riforme dell’economia di mercato di Deng Xiaoping, aprendo un negozio Louis Vuitton a Pechino nel 1992. 

La riforma economica cinese, nota anche come “riforma e apertura” è il programma di riforme economiche nella Repubblica popolare cinese (RPC) guidate da Deng Xiaoping nel 1978. Queste riforme hanno permesso ai settori privati e all’economia di mercato di crescere, ed a livello estero le riforme economiche hanno aperto la Cina agli investimenti esteri e al mercato globale. 

Ora l’Asia è il posto dove LVMH ha più negozi che nel resto del mondo: 1289 contro i 1153 in Europa (esclusa la Francia) e 783 negli Stati Uniti. 

Conclusioni

LVMH è un gruppo che nel corso del tempo ha ampliato le sue capacità sapendo sfruttare al meglio i suoi punti di forza, cosa che continuerà probabilmente a fare nel futuro, cercando di migliorarsi e crescere in maniera consapevole e professionale. Nella speranza che questo accada, si spera che grandi realtà come quella descritta continuino a farsi conoscere e a creare iniziative che possano includere sempre di più i numerosi giovani che ambiscono a lavorare in questo tipo di settore che, oltre a produrre oggetti inestimabili, rappresenta la storia di molte persone che hanno dedicato la loro vita alla trasmissione dell’Artigianato e della cultura del Bello. 

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Attivato il nuovo centro editoriale di Unicollege: le novità in arrivo

Un nuovo centro studi che opera strategicamente nell’ambito delle scienze linguistiche e sociali è attivo a Firenze. Si tratta del Centro Editoriale Accademico, ente di ricerca e realtà editoriale dell’università di lingue e di mediazione linguistica Unicollege SSML, con sedi a Firenze, Mantova e Torino.

Le tematiche trattate dal centro editoriale

Le prime pubblicazioni sono attese a breve su www.unicollegessml.it. Queste saranno frutto di una riflessione condotta da esperti linguisti italiani e stranieri sotto la guida del professor Lorenzo G. Baglioni.
Le pubblicazioni in uscita affrontano il complesso tema del rapporto tra professionisti della traduzione e intelligenza artificiale. Di particolare interesse si preannuncia il collegamento con il centenario di Italo Calvino, che proietta il contributo di questo insigne autore italiano nella realtà digitale.

La mission nel campo della formazione

Grazie a queste iniziative Unicollege coglie a pieno le tradizionali mission del mondo accademico, completando la lunga esperienza nel campo della formazione con la nuova attività nel campo della ricerca.