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Sguardo all’interno di una redazione

La mia esperienza al Festivaletteratura di Mantova 2024

Tra il 4 e l’8 settembre 2024 si è tenuta a Mantova la 27esima edizione del Festival della Letteratura, una kermesse che da anni ospita i migliori nomi della letteratura mondiale nella fantastica cornice della città lombarda. 

Vi racconto la mia esperienza

Io mi chiamo Samuele Ferrari e grazie ad Unicollege ho avuto la possibilità di partecipare al festival come volontario, prendendo parte all’evento all’interno della Redazione testi e questo è un resoconto della mia esperienza. 

Dal punto di vista organizzativo il Festival della Letteratura di Mantova è un meccanismo perfettamente oliato e ciò è possibile anche grazie ai volontari, che ogni anno dedicano tempo ed energie all’organizzazione dell’evento nei suoi minimi particolari. Partecipare è molto semplice, basta presentare la propria candidatura sul sito del festival e rispondere ad alcune brevi domande su quali mansioni si vogliono svolgere tra redazione, logistica, box office, info point, trasporto degli ospiti e molte altre. Nel mio caso ho avuto l’opportunità di prendere parte all’evento tra le fila della redazione testi, le mie mansioni consistevano nel seguire determinati eventi che mi venivano assegnati e poi scrivere un approfondimento sui temi che erano stati trattati, dopodiché il mio articolo sarebbe stato pubblicato nella sezione “approfondimenti” del sito del festival. 

Autori di livello mondiale al Festival

Lavorare all’interno di una redazione anche se solo per pochi giorni è stata un’esperienza fantastica che mi ha permesso di ampliare molto il mio bagaglio culturale e soprattutto mi ha mostrato il lato pratico di ciò che sto apprendendo nel mio percorso di studi. 

L’autrice Chiara Valerio risponde alle domande dei volontari

Per un appassionato di letteratura come me, poi, Mantova nella settimana del festival diventa il paese dei balocchi, ci sono incontri ed eventi con autori di calibro mondiale ininterrottamente per 5 giorni e grazie al pass da volontario che ho ricevuto ho avuto l’opportunità di partecipare a tantissimi interventi interessanti con autori come Emmanuel Carrère, Joel Dicker, Donatella di Pietrantonio, Federico Buffa e Chiara Valerio. 

L’evento dedicato al giornalismo al Festival

Tra i tanti eventi a cui ho avuto la possibilità di partecipare ce ne sono stati alcuni che mi hanno colpito in maniera particolare, uno di questi è stato l’evento “Guerra ed etica del Giornalismo” con ospiti Sorj Chalandon ex reporter del giornale francese Libération e Lorenzo Tondo giornalista italiano e corrispondente del quotidiano inglese The Guardian, intervistati da Gigi Riva ex giornalista italiano inviato in Medio oriente e nei Balcani durante gli anni Novanta. Il tema centrale dell’incontro è stato quello del giornalismo di guerra e di come negli ultimi 30 anni sia cambiato profondamente insieme al mondo del giornalismo. I due ospiti hanno raccontato le proprie esperienze personali in Iraq e Ucraina per mostrare al pubblico del festival le difficoltà e gli impedimenti che si trovano davanti ogni giorno durante l’esercizio delle proprie funzioni di inviato di guerra. Il mondo del giornalismo è profondamente mutato negli ultimi decenni con l’avvento di Internet e dei social media che hanno reso tutto più veloce a discapito dell’accuratezza e della autorevolezza. Spesso la ricerca della verità e le pratiche di fact checking vengono messe in secondo piano pur di arrivare per primi su una notizia e se il tema sono degli aggiornamenti riguardanti un conflitto possiamo ben capire quanto possa essere pericolosa una notizia pubblicata senza una verifica. 

E c’è di più…

Altri incontri molto avvincenti sono stati quelli che hanno esplorato il legame tra sport e letteratura, come “La danza dell’albiceleste” con Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli in cui i due autori de “La Milonga del Fùtbol” hanno raccontato la storia del calcio in argentina dalla sua nascita fino al mondiale vinto in Qatar nel 2022, passando per la vita e la carriera di Diego Armando Maradona. Oppure “Il pugilato” con Antonio Franchini, in cui l’autore napoletano ha ripercorso la storia della boxe dalle Olimpiadi antiche fino a Muhammad Ali e Joe Frazier. 

Inoltre ho avuto l’occasione di prendere parte all’evento organizzato da Unicollege dal titolo Tradurre senza troppo tradire con ospiti Luciano Mazziotta, scrittore e traduttore e Bianca Tarrozzi, poetessa e traduttrice, il tema dell’evento è stato quello della traduzione delle poesie. Per i due ospiti la traduzione di testi poetici è un operazione di riscrittura difficoltosa e piena di insidie, un modo di dialogare con l’autore per metterlo e mettersi in discussione.

L’autore Joel Dicker racconta il suo approccio alla scrittura nell’evento Accenti

Una grande opportunità formativa

Voglio ringraziare Unicollege per avermi dato questa grande opportunità che mi ha aperto una finestra sul mondo del giornalismo e mi ha permesso di vivere dall’interno la realtà di una redazione.

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Panoramica sulla libertà di stampa

La classifica di RSF e la situazione dell’Italia

Spesso si dice che lo stato di salute della democrazia di un paese si vede dalla sua libertà di stampa. Vi siete mai chiesti come stia la democrazia del nostro paese? 

Se siete in cerca di risposte, questo è l’articolo che fa per voi.

Oggi nel blog di Unicollege faremo il punto della situazione sulla libertà di stampa in Italia ed analizzeremo il World Press Freedom Index 2024 di Reporter Senza Frontiere, lo studio che ogni anno ci aggiorna sulla libertà di stampa nel mondo. 

Reporter senza frontiere (RSF) è una organizzazione non governativa (ONG) e no-profit che difende la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti in tutto il mondo, la sua sede è a Parigi e collabora strettamente con l’ONU da ormai molti anni. Il lavoro di questa organizzazione è fondamentale, perchè punta i riflettori sui problemi che affliggono la stampa a livello globale tra cui: censura, intimidazioni, minacce, violenza fisica e psicologica, sequestri e omicidi ai danni dei giornalisti di tutto il mondo. 

Da anni la ONG pubblica l’Indice della libertà di stampa, una classifica di nazioni in base alle condizioni della loro stampa. Il rapporto viene aggiornato ogni anno e viene stilato tramite un questionario che viene inviato a tutte le organizzazioni che collaborano con RSF, ubicate in tutto il mondo e redatto da giornalisti, addetti ai lavori, giuristi ed attivisti. Le questioni su cui vertono le domande del questionario sono:  l’indipendenza dei media dagli organi di governo, la censura, l’autocensura, le minacce ricevute dai giornalisti, le pressioni ricevute da gruppi malavitosi ed organizzazioni mafiose, omicidi nei confronti di giornalisti, querele, detenzioni ingiuste e diffamazioni. 

La classifica del 2024

La classifica dell’anno corrente vede nelle prime 3 posizioni Norvegia, Danimarca e Svezia, poi Paesi Bassi, Finlandia, Estonia, Portogallo, Irlanda, Svizzera e Germania a completare la top 10 ed invece Afghanistan, Siria ed Eritrea a chiudere la classifica, con l’Eritrea fanalino di coda con la 180esima posizione.

 L’Italia si trova in 46esima posizione, ma analizzeremo il caso del nostro paese in seguito. Adesso concentriamoci sull’analizzare la situazione regione per regione. 

La regione in cui la situazione della libertà di stampa è peggiore è quella del Maghreb e del Medio Oriente, in cui ciò che avviene in Palestina da 10 mesi aggrava una situazione già tragica negli anni passati.  Solamente in Palestina, infatti, negli ultimi mesi sono più di 100 i giornalisti uccisi, di cui più di 20 morti mentre svolgevano il loro lavoro. Nello specifico in Medio Oriente i paesi in cui la libertà di stampa versa in condizioni “molto gravi” sono Yemen, Arabia Saudita, Iran, Palestina, Iraq, Bahrein, Siria ed Egitto

A seguire troviamo la regione dell’Asia-Pacifico dove la stampa è imbavagliata dai governi autoritari e dove possiamo trovare cinque dei dieci paesi più pericolosi di tutto il mondo Myanmar, Cina, Corea del Nord, Vietnam e Afghanistan.

Anche l’Africa sub-sahariana ha vissuto un annus orribilis dopo le violenze che hanno contraddistinto le elezioni del 2023 e qui i paesi con il peggior punteggio sono Niger, Burkina Faso e Mali. 

Spostandoci ad Occidente nelle Americhe la situazione continua a non essere delle migliori, con il Messico che è ancora uno dei paesi più pericolosi per i giornalisti a causa dell’attività incessante dei cartelli del narcotraffico. Anche gli Stati Uniti, però, indietreggiano di 10 posizioni e occupano ora la 55esima posizione. 

I paesi in cui la stampa gode di maggiore salute sono quelli Europei, grazie alle leggi sulla libertà di stampa promosse dall’Unione Europea, tuttavia non mancano i casi problematici come quelli di Ungheria, Malta e Grecia in cui le pressioni governative limitano le libertà e il lavoro dei giornalisti. Se ci spostiamo ad Est, poi, la situazione peggiora ulteriormente con Russia, Turkmenistan e Bielorussia che assumono atteggiamenti sempre più preoccupanti nei confronti della stampa. 

La situazione della libertà di stampa in Italia

Analizzando nello specifico la situazione del nostro paese, salta subito all’occhio un peggioramento nella posizione in classifica, che passa dal 41esimo posto del 2023 al 46esimo. 

Ma come mai l’Italia si trova così in basso?

Leggendo il rapporto che Reporter Senza Frontiere ha dedicato al nostro paese si possono trovare le motivazioni che hanno portato a questo risultato preoccupante. Per la ONG, infatti, la stampa non gode di ottima salute e anzi presenta vari questioni problematiche che limitano l’azione dei giornalisti. 

In primis uno dei problemi che ha portato al peggioramento della classifica è la promulgazione della cosiddetta “legge bavaglio”, che introduce il divieto di pubblicazione “integrale o per estratto” dell’ordinanza con cui i giudici formalizzano una misura cautelare. Questo emendamento, promosso dal deputato di Azione Enrico Costa, è stato molto contestato dal mondo della stampa italiana che lo vede come un vero e proprio bavaglio nei confronti degli organi di informazione

Un altro grande problema è quello della forte e crescente presenza di procedure SLAPP verso i giornalisti. Le SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation ) sono azioni legali intraprese nei confronti dei giornalisti con la volontà di intimidirli e limitare il loro lavoro. Questo genere di procedura è sempre più utilizzato dagli organi di potere per spaventare la stampa e farla desistere dall’intraprendere inchieste. Spesso, infatti, è sufficiente una minaccia per ottenere ciò che si desidera, poiché iniziare una causa legale per diffamazione sarebbe troppo lungo e costoso per il giornalista stesso. Ciò può, talvolta, portare anche all’autocensura, pratica sempre più diffusa che porta i giornalisti a tacere di importanti questioni per paura di ripercussioni personali. 

Continuando il rapporto di RSF dedicato all’Italia troviamo un chiaro riferimento alla vicenda Angelucci-AGI. Il deputato della Lega Nord Antonio Angelucci, infatti, sta cercando ormai da tempo di acquistare la seconda agenzia di stampa del paese, la AGI. Questa acquisizione non è vista di buon occhio dall’opposizione e dalla Commissione Europea, in quanto potrebbe ledere al pluralismo dell’informazione e alla trasparenza della stampa. 

Proseguendo notiamo anche un paragrafo dedicato alla censura, attuata dagli organi di stampa statali (RAI) nei confronti di alcuni personaggi ritenuti “scomodi” dal potere. Qui, è chiaro il riferimento al caso Antonio Scurati, lo scrittore il cui monologo sull’antifascismo è stato cancellato dalla trasmissione “Che Sarà” di Serena Bordone lo scorso 25 aprile. Inoltre, la pressione posta dal governo di Giorgia Meloni nei confronti degli organi di informazione a partire proprio dalla Rai rappresenta un pericolo per l’accuratezza e la trasparenza dell’informazione offerta ai cittadini. 

Infine, una delle questioni più gravi che colpiscono la stampa italiana è la massiccia presenza sul suolo nazionale di organizzazioni criminali di stampo mafioso, che minacciano i giornalisti che intraprendono inchieste in questo campo. Secondo le cifre dell’associazione Ossigeno per l’informazione, solo nel primo trimestre del 2024 le minacce nei confronti dei giornalisti sono state 133 su 43 episodi, nel 2023 sono stati 500 su 185 episodi e dal 2012 al 2024 sono state ben 3365, di cui il 15% aggressioni e il 38% abuso di denunce e azioni legali. 

Qui, in conclusione, lascio il link al sito di Reporter Senza Frontiere dove potete consultare l’Indice della libertà di stampa 2024 ed approfondire i singoli report dedicati ai 180 paesi in classifica. 

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LVMH: storia di un colosso del lusso (Parte 2)

di Ottavia Nannetti

Bentornati sul blog di Unicollege, oggi parleremo del colosso del lusso LVMH, questa è la seconda parte dell’articolo sull’azienda. In questo caso ci concentreremo sulla funzione sociale del brand, i suoi progetti per i giovani, l’importanza che dà all’ambiente e i suoi scenari per il futuro

LVMH per le giovani generazioni

Per LVMH e le sue Maison, che custodiscono un patrimonio inestimabile di mestieri artigianali e creativi, preservare e sviluppare savoir-faire,che talvolta si tramandano da secoli, è una missione

Le Maison si inseriscono all’interno di una storia molto lunga fatta di passione e prestigio. Per preservarne l’identità e l’eccellenza, LVMH ha messo a punto numerosi dispositivi di trasmissione del savoir-faire e di valorizzazione dei mestieri artigianali e creativi verso le generazioni più giovani. Già dal 2000 il Gruppo promuove eventi e corsi di formazione volti alla professionalizzazione delle figure prossime ad entrare a far parte dell’azienda, mettendo a disposizione corsi gratuiti e creando appositi spazi di istruzione. 

  • Il primo progetto di questo tipo, che è stato promosso, è la LVMH House, centro di formazione dedicato ai dirigenti del Gruppo.
  • Nel 2010 stringe un partenariato con la prestigiosa Università di Design londinese “Central Saint Martins”, impegnandosi ad accogliere gli studenti nelle sue Maison e a sostenerli con borse di studio. 
  • Nel 2011 prosegue il processo di visibilità dell’azienda, che decide di organizzare la prima edizione delle “Journée Particulières”, aprendo al pubblico le porte delle sue Maison e dei laboratori. 
  • Nel 2013 il Gruppo ha istituito il premio “LVMH prize for Young Fashion Designers”, che pone al centro dell’attenzione le nuove generazioni di stilisti. 
  • Nel 2014 LVMH lancia l’Institut de Métiers d’Excellence (IME), un programma di formazione professionale che consente al Gruppo di trasmettere alle nuove generazioni preziose abilità e savoir-faire esclusivi. 

Va nominata poi l’iniziativa nata solo due anni fa: il tour “You and ME – Les metiérs d’Excellence en tournée”, un evento dedicato alla scoperta dei programmi di formazione proposti dall’Istituto del ME LVMH e alle opportunità lavorative disponibili nelle Maison del Gruppo nei mestieri della Creazione, dell’Artigianato e della Customer Experience. L’evento annuale è destinato agli studenti per far scoprire più di 280 mestieri d’eccellenza all’interno del Gruppo, oltre alle opportunità formative e lavorative disponibili. L’ultima edizione di questo tour è finita da poco tempo: i Metiérs d’Excellence di LVMH hanno fatto tappa a Firenze il 5 e 6 aprile al Giardino dell’Orticoltura, a Padova il 24 aprile al Centro Culturale Altinate San Gaetano, e per finire il 7 maggio a Napoli, presso Made in Cloister. 

Si segnala inoltre l’ultimo programma lanciato dal Gruppo: Inside LVMH. Per sostenere le giovani generazioni è stato creato questo programma formativo che già nel 2023 ha portato all’assunzione di 39.000 talenti sotto i 30 anni. L’iniziativa ambisce a dare alle giovani generazioni l’opportunità di scoprire l’ecosistema del lusso, di lasciarsi ispirare e arricchire le competenze, permettendo al Gruppo di creare una nicchia di candidati appassionati e qualificati per ognuna delle Maison. Ambisce inoltre a rafforzare l‘interazione con le prossime generazioni, incoraggiando accessibilità, impegno e inclusione. Per usufruire di questo servizio è stata creata ad hoc la piattaforma digitale con l’omonimo nome del progetto, che offre agli studenti l’accesso a contenuti esclusivi del Gruppo e delle Maison, nonché di esperti e professori esterni. La piattaforma digitale propone un percorso educativo fatto di articoli, video, podcast, seminari, ecc. Si tratta di un mezzo per raggiungere una platea di persone più ampia e diversificata nel mondo, formando professionisti futuri ed allo stesso tempo facendo conoscere il Gruppo stesso. Seguendo 4 moduli per un periodo di 8 settimane ed effettuando un quiz finale, gli studenti approfondiscono le proprie conoscenze su LVMH, ed il settore del lusso e arricchiscono il proprio CV con la certificazione INSIDE LVMH. L’iscrizione al corso è possibile fino al 16 maggio dell’anno corrente ed è completamente gratuita.

L’impegno sociale 

Sin dalla sua fondazione, il Gruppo ha fatto dello sviluppo sostenibile uno dei suoi principali orientamenti strategici. Questo impegno fornisce una risposta forte ai temi della responsabilità etica e del ruolo decisivo che un gruppo quale LVMH riveste nel contesto sociale – in Francia e nel resto del mondo. Gli impegni a lungo termine, come la tutela dell’ambiente, si traducono in benefici concreti per la società. Ad esempio, proteggere l’ambiente per LVMH non è solo un obbligo: è un dovere oltre che una fonte di competitività. È un dovere perché il successo a lungo termine delle Maison dipende direttamente dalla salvaguardia e dal rispetto delle risorse naturali impiegate per la realizzazione dei prodotti. Al contempo questa politica porta competitività perché dare rilevanza ai fattori ambientali rende i processi produttivi più affidabili, il che è un vantaggio non da poco sulla concorrenza. 

Già dal 1992 il Gruppo vanta un dipartimento ambientale che ha collezionato grandi risultati nel corso degli anni, e che ha portato nello stesso anno alla realizzazione del primo calcolo dell’impronta di carbonio (parametro che viene utilizzato per stimare le emissioni gas serra causate da un prodotto) e continuando il processo della riduzione dell’impatto ambientale dandone un esempio in occasione dell’Esposizione Universale ad Aichi (in Giappone), in cui Louis Vuitton ha presentato un padiglione fatto di sale, simbolo del suo impegno per la protezione dell’ambiente. 

Nel 2020 il Gruppo ha organizzato la LVMH Climate Week: una settimana di scambi proposta ai suoi collaboratori per condividere le linee di forza della sua strategia ambientale LIFE 360, la sua nuova bussola per i prossimi 3, 6 e 10 anni, e per incoraggiare ciascuno ad essere motore di cambiamento, secondo il motto condiviso: “Be The Change”. 

La diversità è una caratteristica propria di LVMH, la cui forza lavoro conta oltre 190 nazionalità e 4 generazioni che operano in più di 80 paesi. Come lo stesso Gruppo afferma:

“Dalle strutture di approvvigionamento e produzione alla distribuzione, il nostro personale coinvolge un patrimonio di centinaia di métier, che abbracciano ogni anello della catena di valori. Crediamo fermamente nell’unicità, nel talento e nella singolarità delle persone, qualunque sia il loro contesto di provenienza. Apprezziamo punti di vista diversi in quanto rendono la nostra Azienda ogni giorno più creativa, più innovativa e più forte. Perché essere inclusivi non è un lusso. È una scelta.” 

LVMH

Il Gruppo si impegna a promuovere una cultura inclusiva basata sul rispetto, dove ognuno può crescere e innovare, contribuendo così alle performance di lungo termine. Anche le Maison attuano iniziative in linea con il proprio contesto e strategie: le migliori di queste sono riconosciute ogni anno dall’Inclusion Index, che promuove e incoraggia le iniziative di diversità e inclusione in tutto il Gruppo attraverso 6 dimensioni: parità di genere, LGBTI+, disabilità, origini (nazionali e sociali), generazioni e cultura inclusiva (iniziative che contribuiscono a promuovere una cultura inclusiva e a migliorare l’esperienza complessiva dei talenti, partner e clienti del Gruppo). 

Ricordiamo inoltre l’iniziativa avvenuta nel 2019: “Une Journée Pour Soi”, un’iniziativa congiunta con l’organizzazione caritatevole Secours Populaire, destinata a donne in situazione di vulnerabilità in sei città francesi. 

L’ultima iniziativa portata avanti dal Gruppo riguarda un accordo unico (per ora) nel suo genere: LVMH sarà premium partner delle Olimpiadi e Paralimpiadi 2024. Si tratta del più grande impegno economico mai preso da un’azienda a sostegno di una manifestazione o di un evento sportivo. 

“I brand del conglomerato (molti dei quali sono made in Italy) saranno ovviamente in prima linea. Le medaglie saranno firmate dal marchio di gioielleria Chaumet: un iconico marchio di gioielleria di Parigi con centinaia di anni di storia applicherà il proprio savoir faire per creare il design di questi pezzi eccezionali che rappresentano la materializzazione del premio finale per gli atleti, dopo anni di sacrificio e impegno.”

Bernard Arnault

Infine, LVMH, insieme all’organizzazione Secours populaire français, sosterrà un programma per facilitare l’accesso alle discipline sportive per 1.000 tra bambini e giovani tra i 4 e i 25 anni che vivono in situazioni fragili. Il Gruppo, in particolare, finanzierà membership alle associazioni sportive, programmi di allenamento e lezioni per principianti. 

“Lo sport è una straordinaria fonte di ispirazione per i nostri brand, che uniranno l’eccellenza creativa e le performance atletiche contribuendo con il loro savoir-faire e la loro audace innovazione a questa incredibile celebrazione.”

LVMH
FILE PHOTO: LVMH luxury group Chief Executive Bernard Arnault announces their 2019 results in Paris, France, January 28, 2020. REUTERS/Christian Hartmann

Il lusso ad Oriente

Nell’ultimo anno, Bernard Arnault ha più volte convocato i suoi più fidati collaboratori presso la sede del suo impero del lusso in avenue Montaigne per discutere in maniera approfondita su un tema di cruciale importanza: la Cina.

Nonostante le sfide economiche e le crescenti tensioni geopolitiche, LVMH non può permettersi il lusso di abbandonare la Cina: i consumatori cinesi rimangono il moto trainante della crescita del proprietario del lusso. Secondo quanto riferito, Arnault ed il suo teamsono stati avvertiti dei problemi che l’invecchiamento della popolazione cinese potrebbe portare a LVMH: la propensione dei consumatori cinesi al risparmio, piuttosto che alla spesa per beni di lusso, è destinata a rafforzarsi con l’avanzare della loro età. 

Nonostante l’Europa sia il cuore dell’impero di Arnault, negli ultimi tre decenni, la Cina è stata il motore trainante della straordinaria crescita di LVMH. Prima che la pandemia impedisse gli spostamenti, i consumatori cinesi erano soliti imbarcarsi su voli diretti a Parigi e altre capitali della moda, alla ricerca di borse esclusive. Successivamente, hanno cominciato ad affollare le imponenti boutique di Louis Vuitton, Dior e altri marchi di LVMH, i quali hanno guadagnato crescente popolarità in Cina negli ultimi decenni. 

L’aumento dei consumatori cinesi, abituati a spendere generosamente, ha trasformato il panorama del lusso, tanto che ora la Cina contribuisce a circa il 20% delle vendite totali di LVMH. Bernard Arnault è stato proprio uno dei primi uomini d’affari d’oltreoceano ad investire in Cina all’inizio delle riforme dell’economia di mercato di Deng Xiaoping, aprendo un negozio Louis Vuitton a Pechino nel 1992. 

La riforma economica cinese, nota anche come “riforma e apertura” è il programma di riforme economiche nella Repubblica popolare cinese (RPC) guidate da Deng Xiaoping nel 1978. Queste riforme hanno permesso ai settori privati e all’economia di mercato di crescere, ed a livello estero le riforme economiche hanno aperto la Cina agli investimenti esteri e al mercato globale. 

Ora l’Asia è il posto dove LVMH ha più negozi che nel resto del mondo: 1289 contro i 1153 in Europa (esclusa la Francia) e 783 negli Stati Uniti. 

Conclusioni

LVMH è un gruppo che nel corso del tempo ha ampliato le sue capacità sapendo sfruttare al meglio i suoi punti di forza, cosa che continuerà probabilmente a fare nel futuro, cercando di migliorarsi e crescere in maniera consapevole e professionale. Nella speranza che questo accada, si spera che grandi realtà come quella descritta continuino a farsi conoscere e a creare iniziative che possano includere sempre di più i numerosi giovani che ambiscono a lavorare in questo tipo di settore che, oltre a produrre oggetti inestimabili, rappresenta la storia di molte persone che hanno dedicato la loro vita alla trasmissione dell’Artigianato e della cultura del Bello. 

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LVMH: storia di un colosso del lusso (Prima parte)

di Ottavia Nannetti

Un approfondimento per conoscere come si evolve un brand di lusso. Oggi nel nostro blog ci concentriamo su uno dei più importanti marchi mondiali, LVMH la una multinazionale francese che comprende una serie di Maison tra le più prestigiose a livello internazionale, operanti in diversi settori della moda, dei vini e della gioielleria; si è distinta nel corso degli anni per i numerosi progetti sociali ed educativi. 

Introduzione

Il gruppo Louis Vuitton Moët Hennessy, abitualmente accorciato con l’acronimo LVMH, è una multinazionale francese con sede a Parigi proprietaria di alcuni dei marchi più famosi del lusso tradizionale ed emergente. Controlla oltre 70 aziende con 4592 negozi e oltre 156 mila dipendenti nel mondo, operanti in diversi settori, dalla moda come Louis Vuitton e Dior, alla gioielleria, dai vini come Veuve Clicquot o Hennessy ai retailer come Le Bon Marché Rive Gauche o Sephora.

Il Gruppo è stato creato nel 1987 con la fusione di due società: Louis Vuitton, impresa di accessori di moda fondata nel 1854, e Moët Hennessy, un’impresa specializzata in vini e alcolici creata nel 1971.

Cosa significa lusso tradizionale e lusso emergente?

I prodotti e i servizi che fanno parte della nicchia del lusso rientrano in diverse categorie che spesso non convergono in uno specifico settore produttivo di riferimento. 

Questi prodotti e servizi infatti vengono erogati o fabbricati da imprese che lavorano in ambiti diversi, ricoprendo ogni tipo di categoria, dal settore automobilistico a quello alberghiero, fino al settore moda, forse il più sviluppato. 

Il concetto di lusso è qualcosa di molto malleabile, che muta con il passare del tempo: è possibile rendersi conto di questo fenomeno prendendo ad esempio determinati oggetti o caratteristiche che hanno segnato un’epoca e che rappresentavano un vero e proprio stile di vita; oppure uno status all’interno della società, ma che al giorno d’oggi non hanno più valore. Allo stesso tempo si può parlare del procedimento inverso, ossia di determinati beni che in epoche passate erano molto diffusi e accessibili in termini di prezzo, ma che adesso hanno acquisito grande valore grazie alla difficoltà nel reperirli. Si pensi ad esempio, allo storico modello di auto “Topolino” prodotto dalla casa automobilistica italiana Fiat a partire dal 1936: la Topolino era una macchina molto diffusa grazie al prezzo accessibile per quegli anni, ossia poco meno di 9 mila lire (circa 4,60 euro); essendo riconosciuta oggi come macchina d’epoca il suo costo sul mercato può sfiorare cifre importanti.

Nella sfera del mondo dei prodotti di alta qualità possiamo dunque individuare “dei lussi” più tradizionali di altri, vale a dire determinati settori produttivi che fin dalla loro nascita hanno avuto delle caratteristiche comparabili al concetto di lusso odierno. La gioielleria, ad esempio, è un mondo in cui oggi possiamo trovare prodotti appartenenti a fasce di prezzo molto variegate, nonostante in origine sia nata come un’attività che fabbricava oggetti ad un prezzo che non tutti potevano permettersi; oppure che non tutti potevano acquistare con frequenza. 

I settori “tradizionali” del lusso sono l’abbigliamento, le calzature, la pelletteria, la gioielleria, l’occhialeria, l’orologeria, la cosmesi e la profumeria; tutti settori in cui è sempre stato presente il concetto di conferire al prodotto finale una caratteristica che lo rendesse speciale e unico, e che potesse rispecchiare un tratto distintivo dell’acquirente. 

Tuttavia, negli ultimi decenni, abbiamo assistito alla nascita o all’ampliamento di determinati settori che si sono inseriti in questo contesto dando vita a nuovi tipi di lusso. Basti pensare alla continua ricerca che i designer brand stanno dedicando allinterior design, oppure all’importanza che determinate case automobilistiche hanno acquisito recentemente. L’arte della tavola, l’arredamento, l’automobile, la nautica, l’alimentare, l’enologico, le crociere e i voli, gli alberghi, i ristoranti ed i beni culturali sono tutti settori che possono essere definiti produttori di lusso “emergente”, un tipo di lusso che si è sviluppato in tempi recenti e nei confronti dei quali le persone attribuiscono sempre più prestigio, contribuendo indirettamente all’aumento del prezzo. 

La scalata verso il successo: Bernard Arnault

Se si parla di LVMH non si può non parlare di Bernard Arnault, la figura più importante nell’azienda a livello organizzativo, e una delle persone che hanno fatto la storia della multinazionale parigina. Conseguita la laurea in Ingegneria all’École Polytechnique di Palaiseau, Arnault inizialmente collabora con l’azienda di famiglia e convince il padre a vendere una parte dell’attività relativa al settore dell’edilizia. Così inizia la sua scalata verso il successo. 

Fa il suo primo ingresso nel settore del lusso nel 1984, anno in cui, grazie all’appoggio della banca Lazard, acquisisce il gruppo Boussac, proprietario di Christian Dior, del grande magazzino Le Bon Marché e di altri marchi di grande spessore, salvandolo dalla bancarotta. Secondo quanto scrive il “New York Times” del 1989 e il più recente documentario Merci Patron! (2016), nei due anni successivi al 1984, nonostante Arnault abbia deciso di mettere in atto dei cambiamenti radicali all’interno dell’azienda, arrivando a licenziare perfino 9 mila lavoratori, dall’altra parte ha aiutato l’impresa a “passare da un’azienda di famiglia di 15 milioni di dollari all’anno a un’azienda 20 volte più grande”. 

Nella speranza di consolidare la propria posizione, nel 1987 Henri Racamier, presidente di Louis Vuitton, chiede ad Arnault di investire in LVMH, sottovalutando la sua ambizione: in breve tempo infatti Arnault diventa azionista di maggioranza, costringendo sia Racamier, sia Chevalier, presidente di Moët Hennessy, a ritirarsi, e nel 1989 viene eletto presidente del Gruppo, ruolo che ricopre ancora oggi. Arrivato al comando, il businessman crea un nuovo team con i suoi uomini più fidati, e inizia ad inglobare nel Gruppo nuovi luxury brands, tra cui Berluti, Kenzo, Guerlain, Celine, Loewe, Marc Jacobs ed altri. Parlando della sua idea di unire sotto lo stesso tetto diversi marchi di lusso, spesso in competizione tra loro, Arnault ha affermato:

“Quello di vero lusso è un concetto relativo, che cambia a seconda delle persone. L’obiettivo di LVMH è realizzare prodotti ed esperienze, in modo da offrire ai clienti il senso di un valore autentico. E poi la parola lusso è diventata un po’ obsoleta, preferisco prodotto di alta qualità. L’importante è che in dieci anni i nostri marchi siano rimasti degli oggetti del desiderio.”

Bernard Arnault

L’odierna visione di LVMH

LVMH oggi è leader mondiale nel settore del lusso, distinguendosi non solo per la sua forte presenza sul mercato, ma anche per l’impegno che il Gruppo impiega nel promuovere la creatività, impegnandosi ad incorporarla nel campo della ricerca sin dalla sua creazione nel 1987. 

Il direttore esecutivo stesso spiega come sia stato importante durante il percorso di crescita dell’azienda avere un’idea precisa degli obiettivi da raggiungere a lungo termine, soprattutto nell’ottica di far crescere le proprie Maison e per mettere in luce le loro caratteristiche peculiari che le rendono uniche. 

“Le Maison del nostro Gruppo hanno sempre avuto come obbiettivo la promozione e la diffusione di un’art de vivre raffinata. Quest’espressione, a cui tengo particolarmente, significa precisamente che esse sono da secoli per i loro clienti i partner privilegiati in quest’appassionante e mutevole ricerca di raffinatezza ed eleganza.”

Bernard Arnault

Con le sue 75 Maison d’eccezione, produttrici di alta qualità, LVMH è l’unico Gruppo del settore lusso che vanta la sua presenza nei cinque più importanti segmenti del mercato: Vini e Alcolici, Moda e Pelletteria, Profumi e Cosmesi, Orologi e Gioielli e Distribuzione selettiva. 

Nel corso del tempo, le Maison LVMH hanno saputo preservare ed al contempo rafforzare il proprio patrimonio materiale ed immateriale, concentrandosi costantemente sulla qualità dei prodotti e dei servizi. Per sostenere appieno questa caratteristica, e per coordinare un tale apparato, il Gruppo gestisce la sua catena del valore (cioè le attività produttive che portano al prodotto finito) tramite l’integrazione verticale: un modello organizzativo in cui l’impresa decide di inserire il maggior numero di passaggi intermedi all’interno della propria attività, dall’approvvigionamento delle materie prime di qualità fino alla distribuzione selettiva, passando per la produzione. Inoltre, il Gruppo può contare sul sostegno di più di 213 mila collaboratori in tutto il mondo. 

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Riders on the storm

Uno studio sulle condizioni di lavoro dei rider condotto dalla redazione di Unicollege

Durante il corso di Web reportage narrativo dell’indirizzo Giornalismo digitale la nostra redazione si è concentrata nello studio delle condizioni di lavoro dei rider. Abbiamo analizzato i loro contratti ed intervistato una realtà cittadina virtuosa nel campo delle consegne a domicilio. Il risultato è questo reportage narrativo: Riders on the storm.

Introduzione

Nel 2022 il settore dell’ e-commerce alimentare in Italia ha generato introiti per 4,7 miliardi di euro. Di questa cifra ben il 44%, ovvero 1,8 miliardi di euro, è stato generato dal settore del food delivery. Tale settore, arrivato in Italia nel 2018 con l’avvento delle prime piattaforme online, è in costante crescita con un aumento delle entrate pari al 20% rispetto al 2021. I dati, forniti dalla sesta edizione della Mappa del cibo a domicilio in Italia di JustEat, mostrano come questo ambito sia in continua ascesa generando profitti sempre maggiori. Questi però arricchiscono soltanto le grandi piattaforme che lo controllano. Infatti, è ben evidente la dicotomia tra gli introiti generati dalle aziende e le condizioni di lavoro dei rider che lavorano senza soste né tutele nel traffico delle nostre città per cifre irrisorie.
I giganti dell’ e-commerce alimentare poggiano le loro fondamenta su un esercito di riders che pedalano invisibili.

rider pedala sotto la pioggia, Firenze

Chi sono i rider?

I rider sono i fattorini del food delivery, consegnano generalmente cibo ma anche altri beni di consumo. Infatti tra questi ci sono pannolini, sigarette e articoli sanitari, ad ogni ora del giorno, sette giorni su sette. Tra di loro c’è chi lavora per pagarsi gli studi e chi per mantenere la propria famiglia. Ma tutti sono accomunati da un elemento in particolare. Non devono infatti faticare soltanto nelle ore lavorative, ma anche per ottenere dei diritti ed essere tutelati come gli altri lavoratori. I rider sono il vero motore di questa industria ma a loro vengono lasciate solo le briciole.

Come si diventa rider?

Il processo per diventare rider è estremamente semplice. Non sono necessari particolari requisiti. Serve solo il raggiungimento della maggiore età ed essere in possesso di un mezzo proprio e di uno smartphone. Dopo aver compilato i moduli online presenti nella sezione dedicata del sito di delivery come JustEat, Deliveroo, Glovo, ecc. e il gioco è fatto. Si dovrà solo aspettare l’esito della candidatura. Poi si firma il contratto che ci verrà inviato via mail ed ordinare il kit base comprendente indumenti ad alta visibilità, zaino termico per il trasporto del cibo. E, solo nel caso in cui il nostro mezzo sia una bici, un casco.

Come lavora un rider?

Come detto precedentemente il rider è il fattorino del food delivery, ovvero colui il quale consegna l’ordine direttamente a casa del cliente che lo ha effettuato. Il cliente, infatti, dal suo smartphone può scegliere tra una vastissima gamma di ristoranti convenzionati. Può ordinare ciò che preferisce, effettuare il pagamento e attendere la consegna. A questo punto l’ordine viene inoltrato e ricevuto dal ristorante e dal rider al quale la consegna è stata assegnata. Il ristorante, così, va ad iniziare la preparazione del pasto e il rider nel frattempo può muoversi per andare a prenderlo. Qui, una volta confezionato il cibo, ritirerà l’ordine e sarà pronto per consegnarlo al cliente. Apparentemente, fin qui, sembrerebbe tutto normale. C’è però un dettaglio che abbiamo trascurato: in base a cosa è stato scelto proprio quel determinato rider?
Ed è qui che entra in gioco il primo misterioso personaggio di questa storia: l’algoritmo.

La logica dell’algoritmo

L’ algoritmo è un software di proprietà della piattaforma di food delivery che analizza una serie di dati e decide a quale rider proporre la consegna. Lo scopo è quello di garantire la massima efficienza e la minima attesa al cliente. Da questo software dipende il numero di consegne di ogni fattorino e di conseguenza, essendo la paga direttamente proporzionale alle consegne effettuate, il suo stipendio. Così, quando un cliente effettua un ordine attiva l’algoritmo di consegna che crea un ponte tra l’ordine, il ristorante e il rider scelto. La piattaforma Deliveroo afferma che l’unico criterio su cui l’algoritmo si basa nella scelta del fattorino è l’efficienza. Ciononostante sul sito dell’azienda il software non viene mai nominato e il suo reale funzionamento è coperto da segreto industriale.

La spietatezza dell’algoritmo

Navigando in rete alla ricerca di informazioni a riguardo mi sono imbattuto in vari siti che tentano di fornire una reale spiegazione del suo funzionamento. Ciò che ho potuto evincere è che l’algoritmo utilizza un metodo spietato per assegnare le consegne. Infatti questo software si avvale di tre dati principali. Uno è il rating del rider, ovvero il punteggio accumulato dal fattorino nelle sue consegne precedenti. Poi c’è il ranking dei rider, cioè la classifica di tutti i fattorini disponibili. Infine c’è il punteggio assegnato alla consegna stessa. Inoltre l’algoritmo analizza anche dati riguardanti il tempo stimato per completare la consegna. Tra questi troviamo quello per arrivare al ristorante e da lì al luogo di consegna. A questo punto, una volta individuato il rider migliore per la consegna, viene inviata una notifica sul suo smartphone. Qui lui potrà decidere se accettare o meno l’ordine. Nel caso in cui dovesse rifiutarla la notifica verrà inoltrata ad altri rider sotto di lui nel ranking.

Condizioni di lavoro, tutele e stipendi

Attualmente in Italia convivono due modelli contrattuali nel settore del food delivery. Il primo è quello di lavoro autonomo regolato dal CCNL (contratto collettivo nazionale di lavoro) di Assodelivery. Il secondo è il contratto di lavoro dipendente stipulato da Just Eat in collaborazione con CGIL, CISL e UIL.
Ma andiamo per gradi e osserviamo entrambi i modelli contrattuali.
Il primo contratto che regola il lavoro dei rider nel nostro paese risale al 16 settembre 2020. Si tratta appunto il CCNL di Assodelivery. Questo accordo inquadra l’attività del rider come quella di lavoro autonomo. Al tempo stesso le garantisce alcune caratteristiche del lavoro dipendente. Tra queste ci sono standard minimo retributivo, diritti sindacali, assicurazione antinfortunistica e sicurezza sul lavoro.
Osserviamo nello specifico alcuni passi del CCNL, che trovate anche completo qui.

Il testo del CCNLL


Innanzitutto possiamo vedere quale definizione del rider stesso venga data dal contratto.
Il testo recita come di seguito. “Il Rider, ai fini del presente Contratto e come definito in premessa, è un lavoratore autonomo che, sulla base di un contratto con una o più Piattaforme, decide se fornire la propria opera di consegna dei beni, ordinati tramite applicazione, come individuati anche dall’articolo 47-bis del D.Lgs. 81 del 2015.
Le prestazioni di lavoro autonomo tra Rider e Piattaforme sono caratterizzate dalla flessibilità delle stesse. La prestazione si concretizza nella consegna di cibo e altri prodotti ai clienti finali. Per fare ciò il Rider è chiamato a recarsi nel luogo designato, ritirare i beni ed effettuare, con mezzo di trasporto proprio, la consegna al cliente finale.”


“Il Rider non potrà essere assoggettato ad alcun vincolo di orario. Ne consegue che la sua assenza non dovrà essere giustificata e la presenza non potrà essere imposta.”

Da questa prima definizione si evince come uno dei concetti principali del contratto sia la flessibilità del lavoro del rider. Questo concetto è spesso riportato anche dai siti delle principali piattaforme di food delivery tramite lo slogan “Scegli tu il tuo orario di lavoro”. Ciò che però non viene sottolineato è che il rider guadagna solo nelle ore in cui effettua consegne. E questo fa si che per arrivare ad uno stipendio che gli permetta di vivere dignitosamente egli debba lavorare un gran numero di ore.
Continuando nella lettura del CCNL ci addentriamo poi in quello che è l’articolo dedicato al compenso dei rider.
In più l’articolo pone molto il focus su quella che è la possibilità da parte del rider di accettare o meno ogni singola consegna. Si concentra poi sui criteri che ogni piattaforma può utilizzare per decidere il giusto compenso per ogni consegna.


“Le Parti individuano i seguenti criteri che potranno essere implementati in base a modalità caratteristiche del business di ciascuna Piattaforma:
  • distanza della consegna
  • tempo stimato per lo svolgimento della consegna
  • fascia oraria
  • giorno feriale o festivo
  • condizioni meteorologiche
I criteri individuati rappresentano un elenco di riferimento, pertanto le Parti potranno individuarne ed implementarne di ulteriori. Si concorda che il Rider riceverà compensi in base alle consegne effettuate, ferma la possibilità per le Parti di determinare compensi in base a parametri ulteriori.”

Da questo articolo possiamo quindi capire come guadagna concretamente un rider. Il suo compenso è definito dal numero di consegne effettuate e il valore di ogni singola consegna è dato dalle seguenti caratteristiche. Prima la distanza della consegna, poi il tempo stimato per lo svolgimento della stessa. Seguono la fascia oraria in cui la svolgerà, il giorno, se festivo o feriale, e le condizioni meteorologiche.
Infatti, come visibile in un passaggio successivo del contratto, sarà garantito al rider un compenso aggiuntivo (indennità) al verificarsi delle seguenti circostanze. Si parla di lavoro notturno, lavoro svolto durante una festività e lavoro svolto in condizioni meteorologiche sfavorevoli. Queste indennità garantiscono al rider un guadagno aggiuntivo pari al 10%, al 15% o al 20% a seconda della concomitanza di una, due o tre delle circostanze sopracitate.
L’ articolo poi si concentra sul compenso minimo garantito al rider. Questo è pari a 10 euro lordi l’ora. Ma viene ricalibrato “nel caso in cui il tempo stimato dalla Piattaforma per le consegne risultasse inferiore ad un’ora”. Risultando così in un compenso minimo ben inferiore ai 10 euro.
Per quanto riguarda le tutele, invece, il contratto parla di dotazioni di sicurezza quali casco e indumenti ad alta visibilità. Viene menzionata anche la copertura assicurativa obbligatoria dell’INAIL.
Spostiamoci ora sul modello contrattuale stipulato da JustEat con CGIL, CISL e UIL nel 2021. Questo contratto inquadra i rider come lavoratori subordinati e li inserisce in quello che è il CCNL del settore Logistica, Trasporto, Merci e Spedizioni. Questo contratto prevede ferie, malattia, maternità e festività e un compenso orario minimo di 8,50 euro ai quali vanno sommati 0,25 euro per ogni consegna effettuata.

La questione delle ore lavorative settimanali

Un’altra differenza con il modello contrattuale analizzato in precedenza è quella data dalla presenza di tre regimi orari part time di 10, 20 o 30 ore settimanali. Ad un primo sguardo questo contratto può sembrare un grande passo avanti rispetto al CCNL visto precedentemente. Ma leggendolo in maniera più attenta possiamo trovare vari punti controversi che sollevano non poche perplessità.
Innanzitutto JustEat assume un grande numero di rider con un part time da 10 ore settimanali. Questo numero di ore implica che il rider assunto non riesca a sbarcare il lunario ed abbia, quindi, bisogno di almeno un altro lavoro per arrivare a fine mese. Un altro problema è quello riguardante l’organizzazione del lavoro. Infatti, secondo quanto è scritto in questo contratto, in un dato momento della settimana la piattaforma JustEat richiederà al rider di comunicare la propria disponibilità per la settimana successiva. Così facendo riceverà gli orari dei turni da svolgere.
Questi orari non saranno modificabili in nessun modo, evidenziando una certa incoerenza nella azienda che fa della flessibilità uno dei suoi valori focali.

Le lacune ancora presenti nei modelli contrattuali


In ultima analisi anche il compenso solleva molte perplessità. Dagli 8,5 euro lordi l’ora vanno aggiunti 0,25 euro per ogni consegna che diventeranno 0,5 nel caso in cui si completino 250 consegne al mese. Si tratta di un numero ben al di sopra delle possibilità di chi lavora 10 ore alla settimana.
In conclusione dopo aver letto e analizzato entrambi i contratti si può dire che nessuno dei due sia adeguato. Entrambi presentano grandissime lacune per quanto riguarda la tutela dei lavoratori, la loro sicurezza e i compensi che non sono sufficienti per la mole di lavoro e le condizioni alle quali i rider sono sottoposti giornalmente. Rispetto agli inizi del settore food delivery nel nostro paese sono stati fatti passi in avanti, certamente. Restano in ogni caso evidenti grandissime lacune nei contratti che regolano questa professione e ciò si riversa nelle condizioni di lavoro di migliaia di persone che ogni giorno si muovono tra di noi invisibili.

Le eccezioni: Robin Food

In questo contesto fatto di contratti inadeguati, condizioni di lavoro poco sostenibili e sicurezza sul lavoro praticamente inesistente c’è, però, chi si distingue e prova a dare una soluzione reale al problema. Stiamo parlando della piattaforma fiorentina di food delivery Robin Food. Questa cooperativa propone una soluzione etica, sostenibile, ecologica e locale. La loro idea nasce dal desiderio di cercare un modo per rendere il lavoro dei fattorini più sicuro e meglio retribuito. Come infatti dichiara il loro sito ha come valori “la dignità del lavoratore, l’economia locale e il territorio”.
Ho avuto il piacere di intervistare il presidente della cooperativa, Nadim. Come vedremo ha saputo esprimere in maniera perfetta quella che è la filosofia della cooperativa e come il loro lavoro funziona.


Buongiorno Nadim e grazie per la disponibilità. Innanzitutto vorrei sapere da cosa è nato il vostro progetto.


Il progetto nasce ormai da poco più di due anni. Da lì segue tutta la scia di quella che è stata la condizione di lavoro dei rider che sono peggiorate nel tempo e soprattutto nel periodo dal 2018 al 2020. Ci sono state tante manifestazioni e scioperi. Ad un certo punto io e altri ragazzi ci siamo messi insieme per creare una cooperativa che fosse una cosa nostra che potessimo gestire noi. Io a quei tempi non ero ancora presidente della cooperativa. Le motivazioni che hanno portato le persone a creare questa cooperativa sono state le condizioni di lavoro che non erano né stabili né buone in seguito a vari anni di lavoro nel settore.

Il vostro progetto è gestito dagli stessi rider che fanno le consegne. Volevo perciò sapere proprio in materia pratica come funziona il lavoro dei vostri rider. E quali sono le differenze con le grandi multinazionali?

Di diverso è il fatto che i rider sono per la maggior parte soci della cooperativa. Quindi lo è anche chi è per esempio il presidente o un consiglio di amministrazione amministrazione. E sono contrattualizzati. Hanno un contratto che è un CCNL, con tutti contributi, ferie, malattia, 13.ª, 14.ª che è una cosa che la maggior parte delle aziende non hanno mai voluto fare, a parte JustEat. Diciamo che questa si è discostata un po’ dalle altre multinazionali Glovo, Uber Eats, Deliveroo che sono sempre rimaste sulla prestazione occasionale o partita IVA. La differenza sostanziale quindi è quella contrattuale. Poi c’è il fatto che comunque siamo un gruppo anche relativamente piccolo e quindi c’è anche una comunicazione migliore internamente. Non abbiamo un algoritmo che assegna gli ordini ma gli ordini vengono assegnati da una persona che gestisce sostanzialmente il servizio clienti. Perciò se c’è un problema per un ordine parla con il cliente. Poi parla con un ristorante, anche con il rider. Successivamente assegna gli ordini ai rider. Siamo più trasparenti da questo punto di vista.

Come ultima domanda volevo sapere cosa ne pensasse dell’indifferenza generale nei confronti dei rider. Mi sembra non ci sia consapevolezza da parte del cliente nel momento in cui si effettua un ordine sui siti delle varie piattaforme.

Da un lato secondo me di visibilità ce n’è perché comunque come racconti mediatici se ne è parlato abbastanza spesso di questo tema. Tutta questa indifferenza non sono del tutto d’accordo che ci sia. Allo stesso tempo manca, secondo me, ancora nella popolazione un grado di consapevolezza maggiore. Serve uno sforzo maggiore nel fare la scelta sostenibile. Questo vale sia per le consegne, ma può valere anche per altro. Per esempio, è più comodo prendere il pacchetto con Amazon che però non è un sistema che aiuta la società nella sua collettività. Soprattutto è più comodo se arriva velocemente a casa. Magari costa meno e quindi la gente tende a fare la scelta che è più conveniente. Ed è difficile far cambiare
questa abitudine alle persone. Vogliono avere tutto nella maniera più semplice possibile, pagando il meno possibile. Ma non pensano che poi ci sono dei costi che vengono scaricati su altre persone. Quindi l’indifferenza è questa. Non so quanto sia totale indifferenza. Ma forse si tratta mancanza di consapevolezza. Questi problemi necessitano di tempo per cambiare perché comunque le persone si sono abituate in una certa maniera. E non cambiano da un giorno all’altro. Forse con continui racconti le persone magari riusciranno a fare un calcolo che è più complesso rispetto alla semplice convenienza.

rider a palazzo vecchio, Firenze

Un anno dopo

Oggi, ad un anno dalla prima stesura di questo reportage, la situazione è rimasta immutata. I contratti non sono cambiati e la presa di coscienza della società che ci auguravamo potesse avvenire non si è ancora presentata. Nel frattempo migliaia di rider continuano a solcare le strade delle nostre città 24 ore su 24, 7 giorni su sette, rimanendo ancora invisibili.

di Samuele Ferrari