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Sport e diplomazia: l’organizzazione della Coppa del Mondo 2022 in Qatar

di Alessia Bandieri

Fin dall’antichità, lo sport è stato utilizzato come strumento diplomatico. In particolare, durante l’Antica Grecia, considerata la patria dello sport, i Giochi olimpici venivano sfruttati per istituire tregue sacre al fine di interrompere temporaneamente i conflitti bellici e permettere ai soldati/atleti di prendere parte alle competizioni, la cui importanza andava ben oltre i semplici risultati sportivi. Nonostante l’evoluzione della storia, anche oggi lo sport ha un’incredibile importanza e viene spesso utilizzato come mezzo politico da Stati, organizzazioni internazionali con lo scopo di mostrare il proprio potere a livello internazionale, ottenere l’appoggio di altri attori e mostrare i propri interessi.

Gli eventi sportivi al giorno d’oggi

Nel mondo di oggi, gli eventi sportivi internazionali, quali Giochi olimpici, campionati mondiali, ecc, rappresentano un enorme fonte di guadagno economico e potere per i Paesi organizzatori, i quali adottano qualsiasi tipo di strategia per ottenere l’organizzazione di tali eventi. All’interno dell’articolo verrà descritto il binomio tra sport e diplomazia e di come esso rientri all’interno delle strategie di soft power di un paese, soprattutto attraverso l’esempio pratico dei boicottaggi delle Olimpiadi di Mosca 1980 e Los Angeles 1984. Successivamente verranno illustrate le strategie di soft power del Qatar, facendo particolare riferimento alla sports diplomacy.

Sports diplomacy

Secondo il professore di Relazioni internazionali e Diplomazia presso l’università di Bond, Stuart Murray, per diplomazia sportiva si intende l’uso strategico e continuo dello sport, degli atleti e degli eventi sportivi da parte di uno Stato o di attori non statali, per raggiungere una grande varietà di obiettivi, che possono essere politici, commerciali, di sviluppo, di reputazione. La diplomazia sportiva rientra all’interno delle strategie di soft power di un Paese. Ogni attore internazionale detiene due tipi di potere: hard e soft power. Con il primo termine, si intendono i mezzi coercitivi, le minacce militari ed economiche e l’effettiva messa in pratica di quest’ultime. Con il secondo termine invece, si intende l’abilità di uno Stato di dare forma e modificare le preferenze di altri attori internazionali senza l’uso della forza. La forma di soft power maggiormente utilizzata è la diplomazia, di cui esistono diverse forme, tra cui la sports diplomacy.

Nello specifico…

Lo sport permette infatti agli attori internazionali di comunicare e collaborare con le altre Nazioni senza l’utilizzo della forza, rappresentando inoltre una fonte di reputazione. Grazie agli eventi sportivi internazionali, infatti, gli Stati possono dimostrare la propria supremazia e raggiungere obiettivi politici. Fin dall’antichità, sport e diplomazia hanno avuto un forte legame. Molto spesso in passato, l’organizzazione di eventi sportivi è stata utilizzata per tentare come surrogato dei conflitti armati, come ad esempio durante la Guerra Fredda. L’esempio più famoso di diplomazia sportiva è però è la “Diplomazia del ping-pong” tra Stati Uniti e Cina. Nel 1971, in occasione di un torneo internazionale di ping-pong, svoltosi in Giappone, avvennero diversi scambi tra la squadra americana e quella cinese, che portarono alla nascita di una relazione amichevole. Grazie ad essa e all’intervento dei rispettivi presidenti, nel 1979 gli Stati Uniti riconobbero ufficialmente il governo della Repubblica popolare cinese di Pechino come legittimo, dando inizio alle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.

I boicottaggi delle Olimpiadi 1980 e 1984

Nel corso della storia, è possibile individuare diversi esempi di come gli attori internazionali abbiano preferito intraprendere strategie di diplomazia sportiva al posto di forme di potere coercitive. Tra questi, i più eclatanti sono i boicottaggi dei Giochi olimpici di Mosca 1980 e Los Angeles 1984. A partire dal XIX secolo, Russia e Gran Bretagna si sono contese l’Afghanistan attraverso diversi conflitti e dispute, fino al 1885, quando trovarono un accordo, attribuendo all’Afghanistan la funzione di Stato cuscinetto. Nel dicembre del 1979 l’Unione Sovietica decise di invadere il Paese poiché temeva di perdere la propria influenza. Il presidente americano Jimmy Carter condannò l’iniziativa e richiese al CIO, il Comitato olimpico internazionale, di rimandare i Giochi olimpici in programma per l’estate 1980 a Mosca e, ottenendo esito negativo, richiese al proprio comitato olimpico di boicottare i Giochi, ritirando i propri atleti dalle competizioni. Come conseguenza all’assenza degli Stati Uniti, altri 50 Stati decisero di aderire al boicottaggio. Terminata l’edizione del 1980, la Russia cominciò a preparare la squadra olimpica per l’edizione successiva che si sarebbe tenuta a Los Angeles. L’obiettivo del Paese era dimostrare la propria superiorità nei confronti degli Stati Uniti, attraverso le vittorie sportive, come strumento di soft power, durante gli anni della Guerra Fredda. Però, a causa di diversi problemi di sicurezza che avrebbero messo in pericolo gli atleti russi, la delegazione decise di non partire, boicottando a loro volta i Giochi olimpici. Nonostante il risultato fallimentare dei due boicottaggi, che permisero alle Nazioni ospitanti di mostrarsi ancora più forti, vincendo il medagliere delle proprie edizioni, essi fungono da esempio perfetto per evidenziare i vari tipi di potere che gli attori internazionali possiedono per mostrare le proprie posizioni.

Sportswashing

Sempre più spesso gli eventi sportivi vengono utilizzati con lo scopo di rafforzare il proprio potere e la propria immagine a livello internazionale. Per questa ragione, è molto probabile che gli attori internazionali cerchino di nascondere quanto di illecito si svolge nei propri Paesi attraverso tali eventi. Questa strategia viene denominata sportswashing, ossia l’utilizzo di sport, atleti, eventi sportivi e squadre al fine di distogliere l’attenzione da azioni non democratiche o di sfruttamento. Il termine venne coniato nel 2015 in occasione degli European Games da parte dell’Azerbaigian. Durante la campagna “Sports for Rights”, il governo venne accusato di allontanare l’attenzione dallo scarso rispetto dei diritti umani all’interno del Paese attraverso tale evento. Il termine venne poi reso famoso grazie ad Amnesty International che lo adottò nei confronti della famiglia reale di Abu Dhabi, accusandola di aver comprato la squadra del Manchester City per ripulire la propria immagine. Nonostante l’espressione sia molto recente, è possibile rintracciare esempi di sportswashing, già a partire dal XX secolo. Nel 1934, Mussolini organizzò la Coppa del Mondo di calcio e nel 1936 la Germania di Hitler fu il  Paese organizzatore dei Giochi olimpici. Grazie allo sport, i due Paesi vollero mostrare la superiorità della propria razza, utilizzandolo come strumento di propaganda, nascondendo però le pratiche illecite che caratterizzavano i loro governi.

La diplomazia sportiva del Qatar

Nonostante sia un piccolo Stato, in termini di estensione geografica, il Qatar possiede enormi quantità di denaro grazie alle esportazioni di idrocarburi. Tale denaro permette al Paese di differenziarsi dagli altri piccoli Stati e di intraprendere azioni, anche azzardate, con il solo scopo di accrescere il proprio potere a livello internazionale e ritornare a ricoprire un ruolo di potere negli equilibri geopolitici internazionali, dopo l’ostracismo messo in atto dalle Potenze rivali vicine, quali Arabia Saudita e Iran. Il Qatar ha individuato lo sport come ambito nel quale investire per rafforzare il proprio potere e promuovere la propria immagine. Per mettere in atto la propria diplomazia sportiva, il Qatar ha deciso di adottare diverse strategie, tra cui: organizzazione di mega eventi sportivi, naturalizzazione di atleti stranieri e presenza nel mondo del calcio. Gli obiettivi principali del Qatar sono dimostrare la propria superiorità come microstato e perseguire pace, sicurezza e integrità. Attraverso la naturalizzazione, il Paese intende mostrarsi rilevante nello sport presentando delegazioni numerose negli eventi sportivi più importanti e ottenere migliori risultati grazie agli atleti stranieri naturalizzati. La sua presenza nel mondo del calcio invece permette al Paese di rafforzare il proprio potere, vista l’enorme importanza del calcio nel mondo odierno. Tale strategia è stata messa in atto attraverso l’acquisizione della squadra del Paris Saint-Germain che è poi riuscita ad ottenere notevoli risultati. Nonostante i buoni risultati la diplomazia sportiva viene spesso criticata, non riuscendo a rafforzare completamente il potere internazionale del Qatar.

La Coppa del Mondo 2022 in Qatar

Il 2 dicembre 2010, la FIFA ha assegnato al Qatar l’organizzazione della Coppa del Mondo 2022. Ciò ha causato un peggioramento della considerazione dell’opinione pubblica nei confronti della stessa FIFA e del Qatar, accusato di aver comprato i voti necessari alla designazione. Il Qatar, infatti, non possedeva gli standard normalmente richiesti ai Paesi per organizzare i Mondiali di Calcio. Lo Stato si presentava come il Paese più piccolo ad aver mai ospitato una competizione di tale portata, aveva poche infrastrutture adatte alla competizione, il clima avrebbe reso difficile lo svolgimento dell’evento durante l’estate e non possedeva una tradizione calcistica tale da spiegare l’assegnazione. Attraverso l’organizzazione della Coppa del Mondo, il Qatar voleva attrarre turisti e investimenti stranieri e migliorare la propria reputazione nello scenario geopolitico internazionale, per mostrarsi come una società araba moderna.

Gli studi sui Mondiali 2022 in Qatar

Diversi studiosi e giornalisti affermano che, nonostante tutto, grazie all’organizzazione della Coppa del Mondo, il Qatar sia riuscito ad attrarre migliaia di turisti e spettatori, incrementando il proprio prestigio sul piano internazionale. Allo stesso tempo però, il Paese non è riuscito a ripulire la propria immagine e a migliorare la propria considerazione agli occhi dell’opinione pubblica, a causa delle problematiche interne vissute dal momento dell’assegnazione della Coppa del Mondo. Per adeguare il Paese alla competizione, il governo ha fatto costruire moltissimi hotel, appartamenti e anche diversi stadi. Nella costruzione di queste infrastrutture sono morte diverse migliaia di lavoratori migranti, mettendo in luce le problematiche interne al Paese relative al sistema della kafala, ossia una sorta di schiavitù a cui i lavoratori migranti sono sottoposti. Inoltre, la competizione ha permesso di sottolineare ulteriormente il mancato rispetto dei diritti delle donne, delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ e dei lavoratori.

In conclusione…

A conti fatti, è possibile affermare che il Qatar ha ottenuto solo in parte i risultati che si prefiggeva con l’organizzazione della Coppa del Mondo. Se da un lato è stato in grado di mostrarsi rilevante sul piano geopolitico e di affermarsi come potenza regionale, non è però riuscito a migliorare la propria immagine. Nel corso dell’evento sono state infatti evidenziate ulteriormente le problematiche interne e ribadite le accuse di sportswashing.

Bibliografia e sitografia

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Il conflitto in Ucraina: dalle cause dell’attacco ai futuri scenari

di Giulia Molinari

Lo scoppio della guerra in Ucraina, avvenuto il 24 febbraio 2022, ha colto di sorpresa gran parte dei paesi e dell’opinione pubblica occidentali, che ormai avevano scordato la precedente crisi del 2014, apparentemente risolta con gli Accordi di Minsk.
Nella prima parte di questo articolo verranno presentate tre possibili cause che comprendono le sfere storica, psicologico-sociale e geografica che potrebbero celarsi dietro l’attacco russo. Successivamente verrà svolta un’analisi sul futuro sviluppo del conflitto sotto il profilo delle relazioni che intercorrono tra le maggiori potenze coinvolte, quali Russia, Stati Uniti e Cina.


Russia e Ucraina, una storia comune


Lo stato ucraino ha ottenuto ufficialmente l’indipendenza nel 1991, prima di allora ha fatto parte dell’impero zarista russo, la cui origine risale alla “Rus’ di Kiev”, situato proprio nel territorio ucraino, e successivamente dell’Unione Sovietica.
Per questo ancora oggi i due paesi condividono gran parte della loro eredità storica, culturale, religiosa e politica. Tuttavia, anche in seguito all’indipendenza, il Cremlino ha continuato ad esercitare una forte influenza su Kiev, dal punto di vista economico e politico. Secondo la visione di Kiev, è l’Ucraina che ha mantenuto l’eredità geografica, politica e culturale della Rus’ di Kiev. Mosca, al contrario, crede di essere l’erede politica, religiosa e culturale dell’antico regno (Marshall 2022) . Di conseguenza, come spiegato anche dallo stesso Putin nel proprio discorso precedente all’attacco, la Russia non potrà mai accettare un’Ucraina filo-europea e membro della NATO, in quanto la sua immagine di superpotenza verrebbe inevitabilmente danneggiata e incoraggerebbe altre repubbliche ex-
sovietiche a cercare nuovi partner al di fuori di Mosca.
La guerra in corso, quindi può essere vista anche come una dimostrazione di forza di Mosca principalmente nei confronti di Kiev, ma anche delle potenze occidentali e della Nato coinvolte.


La psicologia collettiva della società russa


La psicologia collettiva del popolo russo è influenzata dalla sua storia politica, dalla propaganda del proprio governo e dalle correnti di pensiero che suggestionano sia i cittadini che i membri delle istituzioni. La Russia è sempre stata governata da regimi autoritari, prima gli zar, poi la dittatura sovietica e ora il regime di Putin. Inoltre, l’identità stessa del popolo russo si fonda sulla potenza del proprio stato, intesa sia come potenza militare (hard power), che, come abilità di influenzare a livello economico e strategico l’agenda globale, (soft power). In seguito allo shock determinato dal crollo dell’URSS, e la simbolica vittoria della guerra fredda da parte degli USA, la Federazione Russa aveva bisogno di un nuovo leader dal “pugno di ferro” per restaurare la sua immagine di grande potenza, ovvero Vladimir Putin. La sua strategia di governo sia in politica interna, sia in politica estera, può essere riassunta nel termine ACM, Authoritarian Conflict Management, la quale prevede un assoluto dominio del governo sul territorio, sull’economia e sulle pratiche
mediatiche
volte a silenziare le voci contro il regime e promuovere la propaganda del governo.

Nel corso del conflitto in Ucraina…

La propaganda del Cremlino ha avuto come duplice obiettivo quello di legittimare l’attacco all’Ucraina agli occhi dei cittadini russi e scoraggiare l’insurrezione di crisi o colpi di stato in altre ex-repubbliche sovietiche, dimostrando che chi vuole minacciare la Russia subirà lo stesso destino dell’Ucraina (Peters 2024) . In questo modo Putin ha stabilito un’immagine di sé stesso come un “presidente in guerra”, un ruolo che certamente in alcuni momenti del suo governo gli è valso l’approvazione e il sostegno della gran parte dei cittadini russi, come durante l’annessione della Crimea nel 2014 e i primi mesi della guerra in Ucraina nel 2022, ma che dall’altro lato implica che il suo potere sia indissolubilmente legato alla guerra e alla vittoria e quindi sia costretto a portare avanti conflitti per mantenere il suo potere intatto.

Il senso di accerchiamento della Russia


L’aspetto geografico determina la strategia geopolitica e militare di uno Stato. La politica estera di Mosca si concentra da sempre sull’idea di essere accerchiata da nemici che minacciano la sua sovranità (Editoriale 2016) . Il territorio dello Stato russo è il più esteso al mondo e ciò comporta
notevoli difficoltà riguardo la sua gestione, perciò, la strategia del Cremlino per prevede un dominio assoluto dello stato sui cittadini che lo abitano e sulle attività che lì vengono svolte. È possibile quindi affermare che la politica estera russa sia incentrata sul mantenimento della propria sicurezza a qualunque costo, come affermato anche dalla teoria esposta da Kenneth Waltz, secondo cui la sicurezza all’interno di un sistema anarchico è il principale obiettivo di uno stato, il quale per conseguirla è disposto a muovere guerra al fine di modificare gli equilibri internazionali a proprio favore (Waltz 1979) . Il Cremlino, di fatto, è consapevole che il punto più vulnerabile del suo immenso territorio è la pianura ad ovest di Mosca, la quale si estende senza interruzioni geografiche fino al cuore dell’Europa. Il governo dell’Unione Sovietica a tal proposito aveva ideato
un sistema di Stati cuscinetto concentrati nell’Europa dell’est, primo fra tutti l’Ucraina. Kiev ha rappresentato per decenni una barriera protettiva per la Russia, per cui l’avvicinamento alla UE e alla Nato ha scatenato le preoccupazioni del Cremlino.

La centralità dell’Ucraina

La centralità strategica dell’Ucraina non è solamente una convinzione di Mosca. La teoria di H. J. Mackinder, che fa perno sull’importanza dell’Heartland per una potenza che vuole dominare il mondo, identifica quest’area strategica proprio nell’est Europa (Mackinder 1904) . Conseguentemente, l’importanza e l’influenza di queste due teorie, unite all’ossessione dell’accerchiamento della Russia contribuiscono, in parte, a spiegare perché Mosca non riesce ad accettare una Kiev indipendente o, persino, ostile al Cremlino, tanto da
decidere di muovere guerra contro il suo storico alleato.


Nuovi rapporti strategici tra Cina, Stati Uniti e Russia


Ora che tutte le forze militari e politiche russe sono concentrate sul conflitto ucraino, altre zone di influenza di Mosca, come l’Asia centrale con le ex-repubbliche sovietiche, si rivolgono ad altre potenze per soddisfare i loro interessi. In questa situazione la Cina la fa da padrone, sia per aver
avviato importanti progetti economici e infrastrutturali lungo la via della Seta, sia per essere al contempo diventata il principale partner economico e militare della Russia (Fabbri 2023) .

Inoltre…


L’avvicinamento di Pechino a Mosca ha suscitato reazioni diverse nel mondo occidentale. In primo luogo, è stato presentato come l’inizio di un nuovo asse strategico e una minaccia sia per la guerra in corso sia per i rapporti futuri con Pechino (Filippo Fasulo 2022) . Recentemente, tuttavia, è
apparso chiaro come Pechino stia sfruttando questa temporanea vulnerabilità economica e militare di Mosca a proprio vantaggio. Da un lato è diventato il nuovo maggior fruitore di gas e petrolio russi, dall’altro grazie alla propria potenza economica e strategica, sta occupando i vuoti di
influenza lasciati dalla Russia in Asia impegnata in un lungo conflitto d’attrito. Inoltre, i rapporti tra Washington e Pechino non si sono mai interrotti del tutto, Nonostante la crisi dei dazi, e le posizioni strategiche opposte nel conflitto ucraino, le due potenze stanno continuando a collaborare sul piano economico e anche su quello strategico, specialmente in seguito ai rapporti che Mosca sta stringendo sia con Nuova Delhi che Pyongyang, che rappresenterebbero una minaccia per la Cina in territorio asiatico, sia per le sue ambizioni sul pacifico, sia per il progetto della via della Seta. Di fatto, con il summit svoltosi lo scorso gennaio tra i leader Xi Jinping e Biden, un nuovo passo avanti è stato compiuto, e un ulteriore spazio di dialogo è stato aperto in seguito all’incontro tra i due rispettivi ministri degli esteri (Carrai 2024) . Tuttavia, i rapporti tra i due paesi in relazione al
conflitto e alla Russia stessa potrebbero cambiare in seguito a una possibile vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni americane di novembre. Questo cambio di leadership comporterebbe una diminuzione degli aiuti all’Ucraina e una concentrazione maggiore di Washington su Pechino, sia in termine di affari, sia in termini militari.

Bibliografia

  • Carrai, Maria. «Stati Unitie e Cina: la ripresa del dialogo dopo San Francisco.» Ispi, 2024.
  • Editoriale . «Due più due fa cinque?» Limes rivista italiana di geopolitica, 2016: 7-28.
  • Fabbri, Dario. «Geopolitica & finanza.» Conferenza Allianz Global Investors. Milano, 2023.
  • Filippo Fasulo, Roberto Italia. «Mosca chiama, Pechino (per ora) risponde.» ISPI G20-
  • Nuovo ordine mondiale, 2022.
  • Mackinder, Halford John. «The Geographical Pivot of History.» The Geographical Journal,
  • 1904.
  • Marshall, Tim. Russia e Ucraina, la mappa che spiega la guerra. Garzanti, 2022.
  • Peters, P. «When the media goes to war: how Russian news media defend the country’s
  • image during the conflict with Ukraine.» Media, War & Conflict, 2024: 1-19.
  • Waltz, Kenneth. «Theory of International Politics.» 199-232. McGraw-Hill, 1979.
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Alla scoperta del Trentino-Alto Adige, al confine tra Austria e Italia

Viaggio linguistico-sociale in una regione ricca di storia e cultura

Di Veronica Moneghini

È luogo comune pensare che in Trentino si parli correttamente il tedesco: in realtà questa è una peculiarità dell’Alto Adige e non di tutta la regione! 

Io sono nata ed ho sempre vissuto nella provincia di Trento e mi viene frequentemente chiesto come mai non parli bene il tedesco come l’italiano. Penso quindi che sia doveroso fare chiarezza sulla nostra bellissima regione: il Trentino-Alto Adige, spesso protagonista di stereotipi e falsi miti. 

In questo breve articolo vi parlerò della storia della regione e delle lingue che vengono parlate sul territorio, le quali la rendono così caratteristica. 
Prima di iniziare però, è necessario che sia ben chiara la distinzione tra il Trentino, la cui provincia è Trento, e l’Alto Adige o Südtirol, la cui provincia è invece Bolzano.

Perché il Trentino-Alto Adige è una regione a statuto speciale? 

L’autonomia speciale del Trentino e del vicino Alto Adige, con cui il Trentino forma la regione autonoma, è nata a seguito dell’accordo italo-austriaco sottoscritto a Parigi il 5 settembre 1946 da Alcide De Gasperi, allora presidente del consiglio italiano e Karl Grüber, ministro degli esteri austriaco. 
Il testo dello Statuto è stato poi sottoposto e approvato dall’assemblea costituente italiana che è successivamente diventata la “Legge Costituzionale n. 5” promulgata il 26 febbraio 1948. 
Come è possibile immaginare, l’autonomia dell’attuale regione non può essere nata dall’oggi al domani, né può essere solamente il frutto di un intervento legislativo. Alle origini della nostra autonomia c’è una storia secolare, fatta di vicende complesse, tradizioni, che le comunità hanno saputo gelosamente conservare a dispetto dei rivolgimenti politici e sociali. 

Val di Fumo (TN)

La storia della regione Trentino-Alto Adige

I popoli trentino e sudtirolese sono uniti da molteplici legami storici e culturali. L’autonomia della regione rappresenta quindi in primo luogo una conquista per entrambi. Il collocamento di questo territorio, posto lungo l’asse del Brennero insieme all’abitudine al contatto e al confronto fra genti diverse, hanno fatto sì che l’autonomia avesse il suo fondamento nel rispetto e nella valorizzazione delle minoranze. L’origine del lungo e complesso percorso per ottenere lo Statuto speciale risale all’epoca medievale. In quel periodo il territorio godeva dello status di principato vescovile sottoposto all’autorità imperiale e tuttavia dotato di capacità politico-amministrative proprie. Passando ad epoche a noi più vicine, dopo la definitiva soppressione del principato avvenuta nel 1813 a seguito degli sconvolgimenti apportati dalla guerre napoleoniche, la regione che oggi conosciamo divenne parte della contea austriaca del Tirolo all’interno dell’impero austro-ungarico. L’avvento della prima guerra mondiale portò profonde lacerazioni e sofferenze tra i militari e la popolazione civile. Al termine di questo periodo drammatico il “Tirolo storico” venne nuovamente diviso.
Il Trentino così, assieme all’Alto Adige/Südtirol, venne incorporato nello Stato italiano tramite la sottoscrizione del trattato di Saint Germain. 

Skiarea Campiglio TN

La lotta per l’autonomia

Per oltre vent’anni la dittatura fascista ha soffocato qualsiasi tipo di diritto per le minoranze. Parliamo di ladini, mocheni e cimbri in Trentino, ladini e sudtirolesi in Alto Adige. Fu così repressa anche qualsiasi speranza autonomistica. Solo al termine della Seconda Guerra Mondiale si tornò finalmente a parlare di autonomia del territorio. E fu riconosciuta grazie alla firma dell’accordo di Parigi tra Alcide De Gasperi, che nel frattempo era stato nominato capo del governo italiano, e dal sopracitato austraico Karl Grüber. 

Il primo Statuto di autonomia non rappresentò tuttavia la completa soddisfazione alle richieste di autogoverno avanzata dal territorio, nonostante questo senza dubbio rappresentasse un indicibile passo avanti rispetto all’epoca precedente. Iniziò quindi una nuova stagione di rivendicazioni, la quale fece da sfondo a scenari drammatici di cui  regione porta tuttora le cicatrici. 

La sottoscrizione del secondo Statuto, avvenuta nel 1972, accolse finalmente le richieste delle due province Trento e Bolzano. Si avviò così una nuova stagione protagonista di rapporti pacifici tra Trentino-Alto Adige e il governo centrale di Roma. 

Rifugio Ai Brentei 2182 s.l.m.(TN)

La questione della lingua in Trentino-Alto Adige

Nonostante le province di Trento e di Bolzano facciano entrambe parte della regione a statuto speciale, presentano differenze che riguardano aspetti politici, linguistici e culturali.

Tornando quindi alla fatidica domanda: “In Trentino si parla il tedesco?”. La risposta corretta è: “Non proprio”. Questo perché la maggior parte degli abitanti della bella regione è di madrelingua italiana. È proprio vero però che sul nostro territorio si possono sentire parlare lingue diverse, ovvero quelle delle minoranze sparse nella regione. Una di queste è il ladino, derivante dal latino, il quale si sviluppa in diverse varianti a seconda della posizione geografica tra Svizzera, Alto Adige e Trentino. Il cimbro e il mocheno invece, sono due minoranze che derivano dalla lingua tedesca. Si sono sviluppate in seguito ad immigrazioni risalenti all’epoca medievale per la ricerca di nuovi appezzamenti o per la ricerca di un lavoro come minatori (“canopi”). 

Conclusioni

Abbiamo quindi appreso perché il territorio del Sud Tirolo veda la maggior parte della propria popolazione parlare perfettamente il tedesco, a fianco dell’italiano. La lingua fa parte dell’identità di questo territorio. Non è quindi fuori dal comune sentir pronunciare “buongiorno” seguito da un “Gutenmorgen” quando si ordina un caffè al bancone del bar. Il fattore bilingue è uno dei segni dell’identità dell’Alto Adige, in cui sia italiani che tedeschi si sentono a casa. Per quanto riguarda il Trentino invece i trentini si riconoscono come italiani. Ed è per questo che non tutti sentono la necessità di portare avanti lo studio della lingua tedesca oltre la scuola dell’obbligo, preferendo magari l’approfondimento di altre lingue.

Una delle tante differenze che caratterizzano le due province è che l’attestato del bilinguismo C1, il quale certifica le conoscenze linguistiche in base al QCER. Questo è un requisito fondamentale per poter lavorare a tutti i livelli funzionali della Pubblica Amministrazione in Alto Adige, mentre in Trentino non è necessario disporne.

Un’altra differenza è che le famiglie possono decidere di iscrivere i propri figli ad una scuola in lingua tedesca o in lingua italiana. Nella zona più a sud della regione invece, non esiste questa possibilità. Si cerca però di potenziare l’insegnamento della seconda e terza lingua attraverso il CLIL, progetto che consiste nell’insegnamento di alcune materie (nel caso del mio liceo, di storia dell’arte e scienze) in lingua tedesca o inglese da parte degli insegnanti di ruolo i quali vengono poi affiancati da docenti madrelingua straniera. 

Abbiamo quindi visto una presentazione sulle differenze e somiglianze presenti all’interno di questa bellissima regione. Mi auguro di aver fatto chiarezza sui dubbi dei lettori in modo che, se avranno modo di visitare per la prima volta il Trentino-Alto Adige o di ritornarci, saranno a conoscenza delle sue caratteristiche e peculiarità.

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Cultura inglese, civiltà e istituzioni: un viaggio intorno alla lingua globale

Di Alessandra Andreani

Ho da poco terminato in qualità di docente il corso di cultura, civiltà e istituzioni inglese e colgo l’occasione per riassumere brevemente le tappe fondamentali di questo viaggio intorno alla lingua globale.
All’interno di una università di mediazione linguistica, le lingue vengono studiate in modo pratico ed applicato e a questo percorso si aggiunge l’esame di cultura della lingua studiata.
Quali sono i temi affrontati e le caratteristiche principali di un corso di cultura?


I docenti possono affrontare la questione da più punti di vista. Ed è fondamentale farlo perché parlare una lingua straniera, padroneggiarla tramite i modi di dire applicando correttamente tutte le sue regole, significa conoscere anche la sua cultura. Non si tratta semplicemente di sapere le caratteristiche principali che costituiscono il bagaglio culturale di una nazione come usi e costumi, cibi e tradizioni, musei e bellezze architettoniche. Tutto consiste nell’apprendere qualcosa di più profondo, qualcosa che ha anche a che fare con i valori, con le credenze, con l’esperienza diretta e anche con una certa predisposizione a superare giudizi e pregiudizi.

La definizione stessa del termine cultura ci indica che si tratta di un ‘an umbrella term’. Questo sottintende che sotto questa parola ci siano tanti altri aspetti, alcuni tangibili altri meno e reperibili solo dopo un periodo vissuto da local.

L’immagine dell’iceberg per comprendere appieno il concetto di cultura

Un altro modo per definire la cultura è senz’altro l’immagine dell’iceberg, perché?

La caratteristica principale dell’iceberg è proprio quella di vedere solo una minima parte. Tutto il resto, di cui non si conosce bene l’entità, è sotto la superficie dell’acqua. Dunque appena atterriamo all’aeroporto ci imbattiamo immediatamente nelle differenze più evidenti. Tra queste ci sono la lingua, il cibo, le uniformi, la modalità di salutare, la gestualità e via discorrendo. Per comprendere invece le altre, quelle meno evidenti, occorre fare un’esperienza più lunga, vivendo in prima persona la città, il luogo, le persone e le istituzioni locali. Tramite questa immagine si capisce dunque quanto la definizione di cultura sia profonda e complessa.

I tradizionali autobus di Londra

Un viaggio nella lingua inglese da analizzare geograficamente

Iniziamo il nostro viaggio analizzando geograficamente i paesi che parlano la lingua inglese. Prenderemo poi in esame gli aspetti meramente linguistici grazie anche alle dissertazioni fornite dal linguista David Crystal, Tutto questo per sfatare il mito per cui la lingua inglese si è diffusa grazie alla sua apparente semplicità e poi per comprendere le ragioni, i rischi e il futuro di una lingua globale.
Analizziamo gli aspetti storici, politici, con un particolare riferimento ai political speeches come quelli di Winston Churchill durante la seconda guerra mondiale o il Victory speech tenuto dal 44° presidente Barack Obama nel 2008. Questi esempi ci rivelano non solo l’importanza delle parole e il potere delle medesime ma anche l’immagine di un determinata nazione. Continuiamo il nostro viaggio volgendo lo sguardo verso la letteratura con un riferimento a chi è andato oltre la lingua creando nuove parole e nuovi significati come Lewis Carroll e le sue portmanteau words. Approdiamo poi in un periodo relativamente più recente dove si affrontano temi sociali e culturali, documentati da film, canzoni e movimenti di cui si sente spesso parlare come la ‘beat generation’. Ultima tappa: internet e l’avvento dei social media e una comunicazione digitale dove l’inglese regna sovrano!

Winston Churchill

Il contributo fondamentale degli studenti per completare il viaggio nella lingua inglese

Si tratta di un viaggio lungo, qualche volta difficile, arricchito dal contributo degli studenti sotto forma di commenti, realizzazione di mini e maxi progetti di gruppo che mi lasciano sempre piacevolmente esterrefatta.
Generalmente propongo loro una lista, un format e un insieme di regole affinché ogni individuo abbia la possibilità di esprimersi.

La costituzione dei gruppi, in un corso particolarmente nutrito, è fondamentale proprio per vedere tutte le personalità in azione e per cercare di ‘tenere impegnati’ quelli più esuberanti e far emergere quelli più timidi.

Qualche gruppo resta in una zona di comfort, scegliendo un argomento relativamente semplice e qualche volta invece, vanno oltre, scoprendo connessioni e approfondimenti davvero interessanti. Si tratta di un compito per esercitarsi su più lati, dal cercare le fonti all’organizzazione di un pensiero critico, fino ad esporre il proprio elaborato davanti alla classe.

Uno scorcio dei grattacieli di New York

In conclusione…

Non c’è una ricetta magica e non sempre la combinazione, docente-studenti, funziona ma certamente la didattica, a mio avviso, non si dovrebbe mai allontanare troppo dal fatto che siamo, tutti, esseri umani e come tali lo scambio diviene il maggior promotore del funzionamento di un corso.

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Il mio Erasmus a Malaga: storia di un’esperienza di viaggio e studio

di Luca de Simone

Volete davvero sapere che esperienza é stata il mio Erasmus a Málaga?
Non penso che possano esistere parole per descrivere le emozioni che mi porterò dentro per sempre. Si suol dire “arricchire il bagaglio culturale” di una persona, ma io credo che all’aeroporto sarei dovuto arrivare con decine di questi ultimi.

Viaggiare per l’Erasmus

Viaggiare è la prima ragione che mi ha portato a intraprendere questo cammino. Mi sento libero
e lo consiglio a tutti! È sicuramente un’opportunità per conoscere se stessi. Mi è capitato di viaggiare da solo a Lisbona o in Irlanda del Nord e in molti altri posti, ma oggi non siamo qua a parlare di questo. Malaga è una città che ho scoperto essere molto adatta alle mie esigenze quotidiane. Non sono una persona difficile, amo il sole, il mare e una buona mentalità tra le strade.
Malaga è solare, piena di vita e colori, e allo stesso tempo, piena di turismo e persone da tutto il mondo curiose di scoprire cosa cela questa città. Infatti, vivendo l’Erasmus ho avuto l’opportunità di praticare tutte le mie lingue di studio, ovvero inglese, spagnolo e francese.
Per chi vuole sentirsi libero e vivere un periodo molto tranquillo, consiglio di prendere in considerazione questa città.

La prima attività che ho svolto

La prima cosa che ho fatto è stato posare le valigie, vedere un attimo la casa, e correre a scoprire l’università. Ero troppo curioso, me ne avevano parlato bene perché una compagna di studi ha passato il primo semestre lì e solamente all’idea ero euforico. Devo dire che sono rimasto sbalordito. Ho sempre voluto studiare in un contesto universitario grande come una specie di campus con mense, palestra, piscina e campi sportivi.

Alloggio e sport

Per quanto riguarda la casa non è stato molto difficile trovarla visto che dei compagni dell’università avevano passato il primo semestre in Erasmus a Malaga; dunque non ho fatto molte ricerche perché mi sono affidato a loro e, alla fine, ho scelto una casa tra il mare e all’università, quindi era molto comodo la mattina raggiungere il campus perché vivevo a due fermate della metro. Non ho avuto particolari problemi con le distanze visto che la città è pressoché collegata bene dalla metro, bus o taxi.
L’unico problema era la notte, da circa mezzanotte alla mattina dopo. La metro riapriva verso le 6:30 del mattino, però avendo fatto molte amicizie ho sempre trovato
persone che mi hanno ospitato a dormire e quindi questo ha creato ulteriori emozioni e connessioni tra persone che è una cosa che amo. La casa in cui vivevo era grande con molto spazio, luminosa e ventilata con un grande salone, tre divani ed una televisione enorme, dove ho guardato il telegiornale, programmi televisivi spagnoli e invitato compagni dell’università a vedere la finale di Champions League o a mettere un po’ di musica prima di uscire.
A Malaga inoltre promuovono molto lo sport e questa è una delle cose che ho adorato di più. Mi sono subito
iscritto e per vari mesi sono andato in piscina circa mezz’ora per riscaldare i muscoli e poi in sala pesi ad allenarmi per un’ora e mezza. È stato gratificante perché non avevo mai fatto nuoto come un vero e proprio sport quindi è stato bello poter approfondire questa parentesi e scoprire vibes nuove.

L’esperienza universitaria in Erasmus

L’esperienza universitaria è stata magnifica, tutti mi hanno accolto come se fossi uno di loro.
I professori sono molto disponibili, alla mano, ma soprattutto cercano di diffondere un contesto super informale, completamente diverso da noi in Italia. Qui a Malaga, tutti i professori venivano chiamati per nome o addirittura con l’abbreviazione del nome, mentre noi al massimo diciamo “prof” e quasi suona irrispettoso.
Poi è successa una cosa molto bella che non mi scorderò mai. Era il primo giorno di università e a fine lezione si sono avvicinati un ragazzo ed una ragazza e mi hanno detto: “Ciao, visto che sei uno studente Erasmus dall’Italia e noi amiamo l’Italia”, potresti iniziare ad uscire con noi e
vivere Malaga nel vero senso della parola?”.
Devo dire che non mi sono mai sentito completamente
solo. Questa è un dettaglio che ha fatto sì che questa esperienza sia indimenticabile.

Mappa del campus universitario di Malaga

Tempo libero e gastronomia

Il tempo libero è stata una delle parti più belle interessanti perché d’altronde fare quello che ci piace è il massimo. Divertirsi, uscire, bere qualcosa, fare esperienze, andare a ballare, vedere tramonti, panorami, camminare, cucinare… Niente di tutto questo ha un prezzo!
La mia giornata tipo in settimana era abbastanza stabile: lezione, palestra/piscina e pranzo all’università. Tutto questo avveniva in zona universitaria perché all’interno del campus c’era tutto. Verso cena tornavo a casa, spesso cucinavo qualcosa perché adoro cucinare e invitavo spesso anche i colleghi dell’università che rimanevano sempre contenti.
La gastronomia spagnola è davvero magnifica partendo dalle tapas, dal prosciutto, la qualità dell’olio e delle arance, arrivando alle empanadas, tortillas e molto altro… Una delle cose che mi è piaciuta di più, e che descrive molto l’ambiente spagnolo, è l’informalità che c’è tra le strade spagnole. Invece di finire a cenare in ristoranti, la maggior parte delle persone qua si siedono a bere un paio di birre e a stuzzicare qualcosa. Questo è sia più umano, ma anche più “terra terra” ed economico. Purtroppo, negli ultimi anni stanno creando un business gigante dietro alle tapas, che prima erano gratis nel momento in cui ordinavi qualcosa da bere, invece adesso sono piatti a parte da pagare.

Prima di partire…

Sono una persona che cerca di rispettare molto se stessa. Come ultima cosa vi aspettate che abbia
salutato gli amici che ho conosciuto qua… Beh sì è successo ovviamente, ma quello che amo
fare è salutare quei posti da solo, luoghi che mi hanno regalato tantissime emozioni ed esperienze
e dunque, andare lì e passare delle ore in silenzio per rivivere le stesse emozioni. Senza ombra di
dubbio, il posto più mozzafiato che raccomando per un tramonto e per guardare le luci della città
è Monte Victoria, a pochi passi dal centro della città.

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La Geopolitica della musica: il caso dell’Eurovision Song Contest

di Rebecca Princiotta Cariddi

Esiste un vero e proprio legame tra due mondi così diversi come quello della Geopolitica e quello della musica? A seguito dell’analisi della musica come strumento di soft power e del caso empirico dell’Eurovision Song Contest, è possibile affermare che queste due realtà, che potrebbero sembrare alquanto remote a primo impatto, sono in effetti legate da un nesso intrinseco tra di loro. Questo articolo
analizza, da diverse prospettive, il rapporto che unisce la Geopolitica e la musica.

Il soft power come strumento geopolitico

Il concetto di potere è da sempre considerato molto complesso, date le sue molteplici sfaccettature.
Esso può distinguersi in hard e soft power, i quali corrispondono rispettivamente al potere basato sulla metafora del “bastone e la carota”, quindi su forza e diplomazia coercitive, sanzioni economiche e anche ricompense o offerte di alleanza, eccetera; mentre il soft power è quella dimensione di potere basata sulla metafora della calamita, ossia la capacità di persuadere le nazioni in maniera più soft, e quindi attraverso la sfera culturale, la quale racchiude anche la musica, le tradizioni e altro, poi anche mediante i valori politici, la politica estera eccetera. Esistono diverse
prospettive e pensieri rispetto al concetto di soft power che hanno rilevato altre risorse e sfaccettature di questa dimensione di potere, oppure lacune nel modello base originale di Joseph Samuel Nye Jr. Infine, esiste anche lo smart power, nonché l’evoluzione e l’unione di hard e soft
power, una combinazione equilibrata e ideale per le nazioni nello scenario geopolitico internazionale.

La Geopolitica della musica

L’analisi della musica come strumento diplomatico di soft power, ossia quando essa diventa simbolo di un linguaggio transnazionale universale e, soprattutto, quando viene percepita come tale
dalla popolazione globale, rappresenta un primo approccio rispetto allo studio del nesso che lega la sfera della Geopolitica a quella della musica. Alcuni esempi lampanti sono la cosiddetta Korean
Wave
e l’influenza globale del K-pop con gli interventi e i progetti del gruppo sudcoreano BTS nell’ambito delle Nazioni Unite, oppure la musica di protesta sociopolitica e quanto essa possa
trasmettere molto più delle semplici parole, trasformandosi in una risorsa e una dimensione unica in grado di coinvolgere le comunità a prescindere dalle differenze, trasmettendo messaggi rilevanti in
qualsiasi contesto, tra cui quello sociopolitico
. È rilevante, da questo punto di vista, il contributo della musica sociopolitica anglo-americana, grazie ai brani di artisti rinomati in questo settore come i Beatles o Bob Dylan. Altrettanto interessante è stato osservare come la musica venga utilizzata spesso anche dai governi a scopo sociopolitico e propagandistico, come avvenne in Spagna con Francisco Franco.

Il caso empirico dell’Eurovision Song Contest

Il punto chiave dell’analisi è quello dello studio del caso empirico dell’Eurovision Song Contest,ossia uno scenario di fama internazionale propriamente geopolitico-culturale. Dal processo di nation branding sviluppato e utilizzato dalle nazioni partecipanti come strategia diplomatica, alla formazione dei cosiddetti “blocchi di voto” con le annesse rivalità, alleanze, manovre e dinamiche geopolitiche, fino alla questione del voto come scelta politica o come scelta artistico-culturale, soprattutto prendendo in esame la vittoria dell’Ucraina nel 2022 e le misure adottate dall’Unione Europea di radiodiffusione dopo l’invasione russa nel febbraio 2022, il festival musicale paneuropeo si dimostra un caso studio più che valido e rilevante a dimostrazione del vero e proprio legame che rende affini la dimensione geopolitica e quella musicale.

Conclusioni

Attraverso quest’analisi risulta evidente che la mente umana non smetterà mai di avvalersi della musica come strumento diplomatico e come veicolo per trasmettere messaggi sociali, politici e geopolitici. Questo indica che la musica sarà quasi sicuramente una delle forme d’arte per
eccellenza che guideranno l’evoluzione sociopolitica del mondo. Il caso studio dell’Eurovision Song Contest, la questione del voto come scelta politica o artistico-culturale, la vittoria dell’Ucraina, la squalifica della Russia, l’assegnazione del massimo dei punti da parte dell’Ucraina
nei confronti di Regno Unito e Polonia (due paesi che hanno da subito supportato lo Stato ucraino dal punto di vista militare e sociale) e altri aspetti analizzati, hanno reso possibile individuare e studiare l’allineamento che si viene a creare tra il sentimento dell’opinione pubblica e gli interessi o gli obiettivi di politica estera delle nazioni partecipanti, incentivando così, da una prospettiva empirica, l’ulteriore dimostrazione del fatto che la musica può essere considerata uno strumento diplomatico di soft power a tutti gli effetti.