Categorie
Articoli

LVMH: storia di un colosso del lusso (Prima parte)

di Ottavia Nannetti

Un approfondimento per conoscere come si evolve un brand di lusso. Oggi nel nostro blog ci concentriamo su uno dei più importanti marchi mondiali, LVMH la una multinazionale francese che comprende una serie di Maison tra le più prestigiose a livello internazionale, operanti in diversi settori della moda, dei vini e della gioielleria; si è distinta nel corso degli anni per i numerosi progetti sociali ed educativi. 

Introduzione

Il gruppo Louis Vuitton Moët Hennessy, abitualmente accorciato con l’acronimo LVMH, è una multinazionale francese con sede a Parigi proprietaria di alcuni dei marchi più famosi del lusso tradizionale ed emergente. Controlla oltre 70 aziende con 4592 negozi e oltre 156 mila dipendenti nel mondo, operanti in diversi settori, dalla moda come Louis Vuitton e Dior, alla gioielleria, dai vini come Veuve Clicquot o Hennessy ai retailer come Le Bon Marché Rive Gauche o Sephora.

Il Gruppo è stato creato nel 1987 con la fusione di due società: Louis Vuitton, impresa di accessori di moda fondata nel 1854, e Moët Hennessy, un’impresa specializzata in vini e alcolici creata nel 1971.

Cosa significa lusso tradizionale e lusso emergente?

I prodotti e i servizi che fanno parte della nicchia del lusso rientrano in diverse categorie che spesso non convergono in uno specifico settore produttivo di riferimento. 

Questi prodotti e servizi infatti vengono erogati o fabbricati da imprese che lavorano in ambiti diversi, ricoprendo ogni tipo di categoria, dal settore automobilistico a quello alberghiero, fino al settore moda, forse il più sviluppato. 

Il concetto di lusso è qualcosa di molto malleabile, che muta con il passare del tempo: è possibile rendersi conto di questo fenomeno prendendo ad esempio determinati oggetti o caratteristiche che hanno segnato un’epoca e che rappresentavano un vero e proprio stile di vita; oppure uno status all’interno della società, ma che al giorno d’oggi non hanno più valore. Allo stesso tempo si può parlare del procedimento inverso, ossia di determinati beni che in epoche passate erano molto diffusi e accessibili in termini di prezzo, ma che adesso hanno acquisito grande valore grazie alla difficoltà nel reperirli. Si pensi ad esempio, allo storico modello di auto “Topolino” prodotto dalla casa automobilistica italiana Fiat a partire dal 1936: la Topolino era una macchina molto diffusa grazie al prezzo accessibile per quegli anni, ossia poco meno di 9 mila lire (circa 4,60 euro); essendo riconosciuta oggi come macchina d’epoca il suo costo sul mercato può sfiorare cifre importanti.

Nella sfera del mondo dei prodotti di alta qualità possiamo dunque individuare “dei lussi” più tradizionali di altri, vale a dire determinati settori produttivi che fin dalla loro nascita hanno avuto delle caratteristiche comparabili al concetto di lusso odierno. La gioielleria, ad esempio, è un mondo in cui oggi possiamo trovare prodotti appartenenti a fasce di prezzo molto variegate, nonostante in origine sia nata come un’attività che fabbricava oggetti ad un prezzo che non tutti potevano permettersi; oppure che non tutti potevano acquistare con frequenza. 

I settori “tradizionali” del lusso sono l’abbigliamento, le calzature, la pelletteria, la gioielleria, l’occhialeria, l’orologeria, la cosmesi e la profumeria; tutti settori in cui è sempre stato presente il concetto di conferire al prodotto finale una caratteristica che lo rendesse speciale e unico, e che potesse rispecchiare un tratto distintivo dell’acquirente. 

Tuttavia, negli ultimi decenni, abbiamo assistito alla nascita o all’ampliamento di determinati settori che si sono inseriti in questo contesto dando vita a nuovi tipi di lusso. Basti pensare alla continua ricerca che i designer brand stanno dedicando allinterior design, oppure all’importanza che determinate case automobilistiche hanno acquisito recentemente. L’arte della tavola, l’arredamento, l’automobile, la nautica, l’alimentare, l’enologico, le crociere e i voli, gli alberghi, i ristoranti ed i beni culturali sono tutti settori che possono essere definiti produttori di lusso “emergente”, un tipo di lusso che si è sviluppato in tempi recenti e nei confronti dei quali le persone attribuiscono sempre più prestigio, contribuendo indirettamente all’aumento del prezzo. 

La scalata verso il successo: Bernard Arnault

Se si parla di LVMH non si può non parlare di Bernard Arnault, la figura più importante nell’azienda a livello organizzativo, e una delle persone che hanno fatto la storia della multinazionale parigina. Conseguita la laurea in Ingegneria all’École Polytechnique di Palaiseau, Arnault inizialmente collabora con l’azienda di famiglia e convince il padre a vendere una parte dell’attività relativa al settore dell’edilizia. Così inizia la sua scalata verso il successo. 

Fa il suo primo ingresso nel settore del lusso nel 1984, anno in cui, grazie all’appoggio della banca Lazard, acquisisce il gruppo Boussac, proprietario di Christian Dior, del grande magazzino Le Bon Marché e di altri marchi di grande spessore, salvandolo dalla bancarotta. Secondo quanto scrive il “New York Times” del 1989 e il più recente documentario Merci Patron! (2016), nei due anni successivi al 1984, nonostante Arnault abbia deciso di mettere in atto dei cambiamenti radicali all’interno dell’azienda, arrivando a licenziare perfino 9 mila lavoratori, dall’altra parte ha aiutato l’impresa a “passare da un’azienda di famiglia di 15 milioni di dollari all’anno a un’azienda 20 volte più grande”. 

Nella speranza di consolidare la propria posizione, nel 1987 Henri Racamier, presidente di Louis Vuitton, chiede ad Arnault di investire in LVMH, sottovalutando la sua ambizione: in breve tempo infatti Arnault diventa azionista di maggioranza, costringendo sia Racamier, sia Chevalier, presidente di Moët Hennessy, a ritirarsi, e nel 1989 viene eletto presidente del Gruppo, ruolo che ricopre ancora oggi. Arrivato al comando, il businessman crea un nuovo team con i suoi uomini più fidati, e inizia ad inglobare nel Gruppo nuovi luxury brands, tra cui Berluti, Kenzo, Guerlain, Celine, Loewe, Marc Jacobs ed altri. Parlando della sua idea di unire sotto lo stesso tetto diversi marchi di lusso, spesso in competizione tra loro, Arnault ha affermato:

“Quello di vero lusso è un concetto relativo, che cambia a seconda delle persone. L’obiettivo di LVMH è realizzare prodotti ed esperienze, in modo da offrire ai clienti il senso di un valore autentico. E poi la parola lusso è diventata un po’ obsoleta, preferisco prodotto di alta qualità. L’importante è che in dieci anni i nostri marchi siano rimasti degli oggetti del desiderio.”

Bernard Arnault

L’odierna visione di LVMH

LVMH oggi è leader mondiale nel settore del lusso, distinguendosi non solo per la sua forte presenza sul mercato, ma anche per l’impegno che il Gruppo impiega nel promuovere la creatività, impegnandosi ad incorporarla nel campo della ricerca sin dalla sua creazione nel 1987. 

Il direttore esecutivo stesso spiega come sia stato importante durante il percorso di crescita dell’azienda avere un’idea precisa degli obiettivi da raggiungere a lungo termine, soprattutto nell’ottica di far crescere le proprie Maison e per mettere in luce le loro caratteristiche peculiari che le rendono uniche. 

“Le Maison del nostro Gruppo hanno sempre avuto come obbiettivo la promozione e la diffusione di un’art de vivre raffinata. Quest’espressione, a cui tengo particolarmente, significa precisamente che esse sono da secoli per i loro clienti i partner privilegiati in quest’appassionante e mutevole ricerca di raffinatezza ed eleganza.”

Bernard Arnault

Con le sue 75 Maison d’eccezione, produttrici di alta qualità, LVMH è l’unico Gruppo del settore lusso che vanta la sua presenza nei cinque più importanti segmenti del mercato: Vini e Alcolici, Moda e Pelletteria, Profumi e Cosmesi, Orologi e Gioielli e Distribuzione selettiva. 

Nel corso del tempo, le Maison LVMH hanno saputo preservare ed al contempo rafforzare il proprio patrimonio materiale ed immateriale, concentrandosi costantemente sulla qualità dei prodotti e dei servizi. Per sostenere appieno questa caratteristica, e per coordinare un tale apparato, il Gruppo gestisce la sua catena del valore (cioè le attività produttive che portano al prodotto finito) tramite l’integrazione verticale: un modello organizzativo in cui l’impresa decide di inserire il maggior numero di passaggi intermedi all’interno della propria attività, dall’approvvigionamento delle materie prime di qualità fino alla distribuzione selettiva, passando per la produzione. Inoltre, il Gruppo può contare sul sostegno di più di 213 mila collaboratori in tutto il mondo. 

Categorie
Articoli

New York: verso l’orizzonte e oltre!

Il racconto dell’esperienza frutto della collaborazione tra Unicollege e Associazione Diplomatici

LE MIGLIORI 10 cose da vedere e fare a New York City (2024)

A chi non piace viaggiare? Chi non ama conoscere nuove persone? A chi non piace vedere mondi nuovi? Ecco, a nessuno! Allora, oggi, parliamo finalmente della mia esperienza a New York. Non sono andata in vacanza, purtroppo, ma ho partecipato al progetto “CWMUN New York” di Associazione Diplomatici (se foste interessati: https://www.diplomatici.it/) a cui la mia università ha aderito. Come funziona? Semplice. Ci si iscrive al colloquio, i tutor dell’associazione testano i candidati. Se si è fortunati, e bravi, si può vincere una borsa di studio se il livello di lingua e quello di cultura generale vengono ritenuti adeguati. Infatti, questo evento mondiale e internazionale consiste in un’enorme simulazione di assemblee delle Nazioni Unite in cui i partecipanti devono rappresentare paesi diversi, con i relativi problemi, punti di forza e difficoltà a fine di trovare un punto d’incontro con altri paesi e creare coalizioni relative ad un determinato argomento trattato. Insomma, una sorta di gioco di ruolo, ma molto in grande!

Prima della partenza…

Durante il colloquio, la ragazza ‘addetta’ all’intervista, è apparsa da subito gentile, cordiale, disponibile ed interessata. Il suo compito era testare, al tempo stesso, sia il livello di inglese che quello di cultura generale. E’ riuscita, però, a non mettermi sotto pressione, cercando sempre di mettermi a mio agio. Infatti, a me, ad esempio, ha permesso di parlare di cose, per me, piuttosto interessanti e di mia competenza.
Nei mesi precedenti alla partenza, ho seguito un corso, una volta a settimana per due ore, che mi ha aiutato a capire di più riguardo ciò che avrei dovuto fare una volta a New York. E’ stato, però, utile anche, e soprattutto, ad ampliare le mie conoscenze rispetto ad argomenti di estrema importanza, quali l’ONU, la sua struttura, la sua missione, la sua importanza, eccetera. I tutor, Angelo e Michela, si sono, da subito, dimostrati estremamente preparati e qualificati, ma anche in grado di stabilire con noi ragazzi rapporti umani basati sulla disponibilità, sul confronto e sull’empatia.

New York City, here we are!

Una volta a NY, ho partecipato a conferenze molto divertenti e coinvolgenti: chiunque, infatti, durante i dibattiti, ha la possibilità di scegliere se parlare o meno. Qualora si scegliesse, però, di non partecipare attivamente ogni giorno (per timidezza o paura, ad esempio, come me) ci si ritrova comunque in una situazione in cui sono davvero innumerevoli le cose che si imparano. Non si ampliano solo conoscenze relative al public speaking, ma anche riguardo gli stessi argomenti trattati, dall’economia alla finanza al marketing e via dicendo.
Una delle cose più incredibili ed emozionanti dell’intera esperienza è stata sicuramente la visita alle Nazioni Unite. Tutto è stato così entusiasmante. Anche il pensiero di star solcando il suolo su cui pochi attimi prima sono passati esponenti di inestimabile valore per il mondo intero è davvero inspiegabile a parole. Vorrei sottolineare, anche, il valore e l’importanza per quanto riguarda la cerimonia di chiusura. Tra gli ospiti presenti anche Valery Owens Biden, sorella del presidente americano Joe Biden e politica anch’essa, una donna dai valori incredibili e di enorme garbo, che è riuscita a tenere alta l’attenzione su di lei con un discorso estremamente semplice e naturale. In quel momento stava giungendo al termine quella che per me sarà sempre una delle esperienze più belle, importanti e indimenticabili del mio percorso universitario, ha dato un senso profondo a questo momento.

Che dire..

Tutto è stato davvero perfetto! Ero preparata a ciò che avrei vissuto una volta lì ed ero sicura del posto in cui mi trovavo. Mai mi sono sentita in pericolo, seppur fossi insieme ad altre ragazze in una città immensa dall’altra parte del mondo che come qualsiasi altro luogo ha innumerevoli pericoli. Non ho mai accusato la solitudine perché avevo dei punti di appoggio (i miei tutor) che sapevo essere reperibili e disponibili 24 ore al giorno. Mai avrei davvero potuto chiedere qualcosa di meglio.
Ho conosciuto una miriade di persone, di tantissime città italiane diverse, ma anche di tantissimi paesi diversi e lontani tra loro. Questo mi ha permesso di conoscere tante culture ed etnie diverse, che, attraverso la condivisione e lo scambio di idee, mi hanno permesso di crescere come persona. Ci tengo a precisare che non è stata solo politica, economia e finanza, ma anche rapporti umani, socialità, amicizie e divertimento. E’ vero, ci sono alcuni giorni in cui mezza giornata va “persa” a causa delle conferenze, ma non è tempo perso, anzi. Quelli sono i momenti più costruttivi, puri e veri di tutta l’esperienza. Oltre al fatto che sono pur sempre stata a New York, una cosa che capita una volta nella vita! Ho vissuto a tremila ogni giornata, letteralmente ogni giorno come se fosse l’ultimo, per vedere, assaporare, toccare con mano e visitare quante più cose possibili.

The end..

Non ci sono aspetti negativi di questa esperienza; forse soltanto il vento, il freddo e la scossa di terremoto avvertita quando mi trovavo lì. Prevale, però, solo un enorme senso di gratitudine per aver potuto far parte di tutto ciò. Consiglio, di una ragazza che l’ha vissuta, davvero vivamente di continuare, se possibile, questa bellissima partnership tra la nostra università Unicollege e Associazione Diplomatici. E’ davvero un’esperienza che chiunque dovrebbe fare, perché è qualcosa che cambia la vita, in un modo o nell’altro.

See you soon New York, thank you for all!

Categorie
Articoli

La Danza Classica e i suoi metodi di insegnamento

La danza è uno dei linguaggi espressivi più spontanei che l’essere umano conosca. Tramite un excursus storico potremmo essere in grado di venire a conoscenza di metodi di insegnamento, allenamento ed alimentazione specifici dei della danza. Inoltre grazie alla partecipazione di una professionista e alla sua intervista sarà possibile e passo dopo passo approfondire queste tematiche.

La storia della danza classica, quando e come è nata? Dove e per volere di chi

Il Re Sole e la danza: il balletto all’epoca di Versailles

Durante la seconda metà del XVII secolo, è la Francia la protagonista della storia della danza classica. Qui, Luigi XIV soprannominato come “Re Sole” per aver preso parte come “Sole nascente” nel Ballet Royal du Jour et de la Nuit del 1653;  sostiene la nascita dell’Académie Royale de Danse come istituzione importante per la definizione di norme che regolano l’arte della danza. 
Il coreografo Pierre Beauchamp si occupò di coniare le cinque posizioni base.  Petipa invece, fu lui l’artefice delle coreografie più note come “Il Lago dei Cigni “ o “la Bella Addormentata”.  

Re Sole a corte nel suo palazzo di Versailles 

In realtà il balletto è stato portato in Francia dall’Italia, proprio Caterina De Medici creò un balletto in occasione di un matrimonio reale della durata di una giornata intera. Com’è noto però, la terminologia del balletto classico è in lingua francese; i nomi delle posizioni sono ancora espresse e studiate in questa lingua proprio in virtù di questa radice storica. Dalla Francia poi la danza si è diffusa in Russia ed America.

Evoluzioni del balletto: da Carlo Blasis a Maria Taglioni

Il primo a codificare le lezioni e le posizioni fu nell’Ottocento il coreografo italiano Carlo Blasis. Oltre a Blasis, uno dei maggiori esponenti fu Auguste de Bournonville, il quale, trasferitosi in Danimarca mantenne il metodo francese così com’era senza nessun tipo di infiltrazioni o variazioni.
In passato, non esisteva la “tecnica del balletto”, o meglio esisteva ma in forma ridotta rispetto a tutta quella che si pratica oggi.  All’ inizio, infatti, i coreografi si limitavano a spiegare il passo, senza una preparazione, formazione metodo di insegnamento precedente che li aiutasse. La sbarra esisteva già:  anche se non sviluppata come al giorno d’oggi costituiva un elemento importantissimo”.

Anche Enrico Cecchetti, da cui alla sua morte è stato fondato il  metodo Cecchetti *(stile di balletto classico e metodo di formazione al balletto,  che cerca di sviluppare le abilità essenziali nei ballerini così come la forza e l’elasticità.)
Nei primi del 900 è stato uno dei grandi promotori italiani della danza  in Russia, una volta tornato in Italia strutturava le sue lezioni alla sbarra ma non ne dava particolare importanza. 
Ciò che ha portato cambiamento nel metodo della danza sono stati anche i primi studi anatomici sui corpi delle ballerine. Nel 600 era nato il “Tiranche”, ovvero uno strumento che si posizionava sulle anche al fine di aumentare l’elasticità e ottenere il famoso “En Dehors”. 
Questo passo infatti si otteneva, a differenza di oggi solo dai piedi perché era l’unica parte che potesse essere “intravista” dai lunghi abiti di scena (fino alle caviglie). I tutù sono nati lunghi fino alla caviglia, come li portava Maria Taglioni. 

L’intervista ad Antonella Pagin

Il 27 gennaio 2023, ho avuto il piacere di intervistare l’insegnante Antonella Pagin direttrice della scuola: “Centro Studi Danza Attitude” di San Bonifacio (VR).
La maestra durante il suo discorso, ha trattato molti argomenti interessanti, tra cui i diversi metodi di insegnamento della danza e tutte le curiosità che sono sorte spontaneamente durante l’intervista.

L’importanza del metodo 

Antonella Pagin prima di tutto ha tenuto a sottolineare come grazie alla sua insegnante e alla sua modalità di insegnamento lei si sia appassionata molto al mondo del balletto. La sua maestra era molto dotata però si differenziava per “l’odio verso le regole”. La prima grande differenza di metodologia e approccio alla danza nella sua scuola la troviamo proprio qui : “Le allieve non si facevano lo chignon per ogni singola lezione,” – specifica Antonella ” e solo la sera dello spettacolo finale a differenza delle altre insegnanti, le quali ci tenevano che tutte le allieve arrivassero preparate con body, calze e chignon come ora”. Lei stessa afferma che durante la sua carriera, non faceva fare lo chignon alle bimbe a differenza degli ultimi tempi. La metodologia quindi cambia nel tempo, muta non è mai statica.

Il metodo della Royal Academy of Dance

“La svolta” – afferma la maestra – “è avvenuta quando ha deciso di diplomarsi con la RAD. All’inizio si è dedicata solo al metodo e allo stile di danza contemporanea, poi negli anni a venire, si è specializzata nel classico”.  Il diploma che le interessava di più infatti era quello della Royal Academy of Dance perché condivideva e condivide molto l’organizzazione di questa metodologia. Gli inglesi infatti, sono molto attenti alla didattica in tutti gli ambiti, non solo nella danza.
Antonella si è subito fidata per la validità ed essendo un metodo internazionale, i programmi sono uguali per ogni scuola che abbraccia questa metodologia in qualsiasi parte del mondo. Tutto ciò quindi dava una certa garanzia e prestigio alla scuola. Per superare gli esami è stato fondamentale e necessario imparare tutti  i ” syllabus “(programmi), il tutto è terminato con l’esame finale suddiviso in:  

  • teorico (una tesi in anatomia la quale includeva materie di anatomia e psicologia relativa allo sviluppo dei bambini); 
  • pratico (di fronte ad una esaminatrice, insegnare un determinato passo sia in lingua inglese e sia in lingua italiana). 

Antonella Pagin ha affermato che “in passato la metodologia di insegnamento non era poi così importante, non si guardava a prendere un diploma di calibro internazionale invece adesso si tende e si cerca di essere più preparati”.
E ha aggiunto: “Proprio perché si ha a che fare con i bambini, bisogna sapere come insegnare, rispettare lo sviluppo del loro corpo sia muscolare sia psicologico. I programmi della RAD sono molto vari, attenti e ben sviluppati, per questo una bambina difficilmente si stanca di fare danza se non perché non le piace. I programmi sono studiati apposta per seguire lo sviluppo armonico della persona e accompagnare l’allievo fino all’età di diciotto anni. Purtroppo però capita – prosegue la maestra – che molte persone lascino l’attività sportiva proprio perché non si dà importanza all’attività fisica e tutto questo è dato sicuramente da una questione culturale. La danza, non è uno sport anzi, è un’arte e fa parte delle cosiddette “Sette ARTI” come il teatro, la musica e tanto altro. Ha delle indicazioni in più.  E come arte, sostiene la maestra, danza si può praticare fino a tarda età”. Antonella Pagin per questo si è anche specializzata nell’ insegnamento della danza per adulti oltre i 55 anni di età.

Come il Covid ha segnato l’insegnamento della danza

E alla domanda su quanto il Covid abbia influito nella metodologia e nelle lezioni Antonella Pagin dichiara: “Il covid ha influito sulla danza ma soprattutto sul fisico di ballerini e non) . Durante il lock- down la metodologia e l’approccio alla danza hanno risentito di molte modifiche, si è cercato di mantenere il corpo allenato anche se sicuramente fare lezione da casa rispetto che in sala ha avuto i suoi riscontri negativi . Al giorno d’oggi i fisici delle giovani” – aggiunge la maestra di ballo – “non sono comprabili minimamente a quelli che avevano alla stessa età altre ragazze prima dell’avvenimento del Covid. Oggi che siamo tornati a fare lezione in palestra ci stiamo impegnando molto e speriamo in un miglioramento in tempi rapidissimi”, afferma la maestra . 

Le alternative per promuovere la danza 

L’insegnate ci ha raccontato anche che “Purtroppo, la danza a differenza di molti altri sport e discipline, non è seguita a livello di interesse nazionale. Per iniziare, si dovrebbe sicuramente introdurla nelle scuole attraverso progetti con i professori di educazione fisica al fine di interessare sempre più i giovani di oggi.  La danza e la sua metodologia, sostiene la professionista, fa innamorare chiunque provi ad approcciarsi a questa disciplina. Fuori dall’ Italia, per esempio, vi è stato un boom esponenziale di danza classica per anziani. Tutto questo è frutto di un problema culturale, in Italia oltre i 60 anni d’età inizia ad essere quasi “vergognoso” cimentarsi in qualsiasi attività fisica. In Inghilterra invece – prosegue Antonella – esistono intere classi di danza costituite da over 50, tutti molto interessati, coinvolti e contenti di fare danza”. E aggiunge: “Oltretutto si dovrebbe promuovere molto di più il mondo dello spettacolo al fine di coinvolgere il popolo a recarsi molto più spesso a teatro”.

Fisico e alimentazione

“I fisici rispetto al passato sono cambiati, si sono evoluti” -afferma Antonella – “La muscolatura è molto più allungata e i fisici sono più longilinei, è nata quindi la necessità di cambiare metodologia di allenamento rispetto al passato. Adesso non si può prescindere dall’allenamento, conta molto anche l’ alimentazione”. 

Il cambiamento del metodo di allenamento a livello professionale

Al giorno d’oggi il training della danza a livello professionale non include solo ed esclusivamente la “sbarra” e il centro, anzi si sono sviluppate nel corso degli anni innumerevoli tecniche di allenamento tra cui : 

  • Pilates per i ballerini 

“Il metodo Pilates risulta essere un’ottima disciplina per i ballerini” – precisa Antonella Pagin – “da cui possono trarre enormi benefici in termini di salute e di performance grazie agli esercizi ideati da Joseph Pilates che hanno come obiettivo flessibilità, sinergia muscolare, migliore postura e consapevolezza del movimento e del proprio corpo”. 

  • PBT

Progressing Ballet Technique (PBT)  Il programma è strutturato usando la fitball del metodo pilates, palle di dimensioni minori e la banda elastica. Antonella spiega che “usando questi attrezzi lo studente sviluppa la propriocezione della postura e del posizionamento del peso del corpo usando i corretti gruppi muscolari”.

I vantaggi della Progressing Ballet Technique (PBT) sono innumerevoli,  il risultato più immediato è quello di donare a chi lo pratica maggiore equilibrio e allineamento. La PBT, in particolare, aumenta la memoria muscolare: grazie alle Fitball, che mettono costantemente in disequilibrio, il corpo dovrà istintivamente cercare una maggiore stabilità.

  • Gyrotonic = 

Molta più preparazione fisica rispetto al passato

Adesso essere preparati fisicamente è molto importante, mentre in passato era molto più accentuata la preparazione artistica. A tal proposito Antonella puntualizza che “Purtroppo in questi ultimi anni ci stiamo dirigendo verso un mondo di ballerini ‘ginnasti‘ e molto meno artisti poco preparati artisticamente parlando ma molto fisicamente”.

Quello che è certo è che grazie alla cultura personale e alla scuola, al giorno d’oggi, vi è sicuramente una maggiore consapevolezza del corpo umano. Si conoscono molto di più le azioni dei muscoli e vi si dà molta più importanza. “La modalità di insegnamento è cambiata” – ci spiega l’esperta insegnante” – il passo rimane invariato rispetto al passato, ciò che cambia però è il modo in cui io mi approccio al movimento. Le spiegazioni sono più accurate, riflettono infatti  il livello di formazione maggiore dei professionisti di questo ambito.  Si va molto più a fondo e si spiegano tutte le dinamiche che servono a fare un “plié” o una “glissade”.  La sbarra che si faceva negli anni 70, sicuramente non è quella che si fa adesso; i passi sono sempre quelli ma come si fanno e come si insegnano sicuramente sono diversi”.

Danza e scuola

Diventa difficile valutare gli effetti della danza in sé, poiché da questa discendono altri fattori ugualmente utili a contrastare l’invecchiamento del nostro cervello. Antonella al riguardo propone un esempio: “Immaginiamo un anziano che decide di iscriversi ad un corso di ballo : partecipare alle lezioni avrà un’influenza positiva sulla sua vita sociale, così come l’apprendimento di qualcosa di nuovo sarà un toccasana per la mente e l’esercizio fisico per il sistema cardiovascolare e lo stato di salute in generale. “La memoriaprosegue “oltretutto va solo migliorando praticando danza, gli esercizi della sbarra infatti vengono cambiati spesso, per questo il ballerino sviluppa capacità mnemoniche mai viste prima. Ogni ballerino quindi deve essere in grado di svolgere più esercizi a memoria, sia a destra sia a sinistra.”

La danza protegge dal decadimento cognitivo

Le statistiche affermano che il ballerino utilizza il cervello in maniera intelligente. Per esempio quando io realizzo anche un singolo passo che può essere la “Glissade”, anche una sola, questa ha la durata di 1 secondo.  Il ballerino quindi, in un solo secondo deve pensare a molteplici aspetti:

  • come posizionare le gambe 
  • come e in che direzione inclinare la testa
  • dove vanno le braccia 
  • la dinamica del passo 
  • che gamba devo posizionare davanti 
  • che gamba devo cambiare nel corso dell’ esecuzione del passo
  • andare a tempo di musica (fondamentale contare la musica) 

“Un elemento cardine e caratteristico della danza è la particolare coordinazione tra braccia, testa e gambe.” – afferma Antonella -“Nessun’altra attività fisica al di là della ginnastica ritmica la include questa componente. La coordinazione è totale nella danza, quando si fa anche un semplice ‘Battement Tendu’ davanti, e include tutto: testa, braccio, gambe e musica. Sempre. La danza aiuta ad essere coordinati sia durante un’esecuzione sia nella vita di tutti i giorni. Quotidianamente bisognerebbe essere più coordinati possibile, altrimenti si avranno difficoltà a fare molte attività; la danza porta ad avere una marcia in più”. 

Danza come beneficio salutare 

In conclusione Antonella Pagin pone l’accento sul legame tra danza e salute: “In Medicina, stanno esaminando e studiando il cervello dei ballerini per capire ed ipotizzare come sia possibile che loro riescono a fare 32 fouettés e a fermarsi in equilibrio perfetto senza alcun giramento di testa.  Diventa quindi essenziale utilizzare lo sguardo, il corpo in sincronia e coordinazione con i muscoli”.

Approfondimenti

LA DANZA PER ANTONOMASIA : “TEATRO LA SCALA”  di Milano 

Riprese aeree dell’ interno del Teatro la Scala 

Interno 

Esterno

 

Link Utili per approfondire la tematica:

https://it.royalacademyofdance.org/

https://www.teatroallascala.org/it/index.html

https://www.pbt.dance/en

https://lamenteemeravigliosa.it/cervello-e-danza-meravigliosa-neurobiologia/

Categorie
Articoli

Riders on the storm

Uno studio sulle condizioni di lavoro dei rider condotto dalla redazione di Unicollege

Durante il corso di Web reportage narrativo dell’indirizzo Giornalismo digitale la nostra redazione si è concentrata nello studio delle condizioni di lavoro dei rider. Abbiamo analizzato i loro contratti ed intervistato una realtà cittadina virtuosa nel campo delle consegne a domicilio. Il risultato è questo reportage narrativo: Riders on the storm.

Introduzione

Nel 2022 il settore dell’ e-commerce alimentare in Italia ha generato introiti per 4,7 miliardi di euro. Di questa cifra ben il 44%, ovvero 1,8 miliardi di euro, è stato generato dal settore del food delivery. Tale settore, arrivato in Italia nel 2018 con l’avvento delle prime piattaforme online, è in costante crescita con un aumento delle entrate pari al 20% rispetto al 2021. I dati, forniti dalla sesta edizione della Mappa del cibo a domicilio in Italia di JustEat, mostrano come questo ambito sia in continua ascesa generando profitti sempre maggiori. Questi però arricchiscono soltanto le grandi piattaforme che lo controllano. Infatti, è ben evidente la dicotomia tra gli introiti generati dalle aziende e le condizioni di lavoro dei rider che lavorano senza soste né tutele nel traffico delle nostre città per cifre irrisorie.
I giganti dell’ e-commerce alimentare poggiano le loro fondamenta su un esercito di riders che pedalano invisibili.

rider pedala sotto la pioggia, Firenze

Chi sono i rider?

I rider sono i fattorini del food delivery, consegnano generalmente cibo ma anche altri beni di consumo. Infatti tra questi ci sono pannolini, sigarette e articoli sanitari, ad ogni ora del giorno, sette giorni su sette. Tra di loro c’è chi lavora per pagarsi gli studi e chi per mantenere la propria famiglia. Ma tutti sono accomunati da un elemento in particolare. Non devono infatti faticare soltanto nelle ore lavorative, ma anche per ottenere dei diritti ed essere tutelati come gli altri lavoratori. I rider sono il vero motore di questa industria ma a loro vengono lasciate solo le briciole.

Come si diventa rider?

Il processo per diventare rider è estremamente semplice. Non sono necessari particolari requisiti. Serve solo il raggiungimento della maggiore età ed essere in possesso di un mezzo proprio e di uno smartphone. Dopo aver compilato i moduli online presenti nella sezione dedicata del sito di delivery come JustEat, Deliveroo, Glovo, ecc. e il gioco è fatto. Si dovrà solo aspettare l’esito della candidatura. Poi si firma il contratto che ci verrà inviato via mail ed ordinare il kit base comprendente indumenti ad alta visibilità, zaino termico per il trasporto del cibo. E, solo nel caso in cui il nostro mezzo sia una bici, un casco.

Come lavora un rider?

Come detto precedentemente il rider è il fattorino del food delivery, ovvero colui il quale consegna l’ordine direttamente a casa del cliente che lo ha effettuato. Il cliente, infatti, dal suo smartphone può scegliere tra una vastissima gamma di ristoranti convenzionati. Può ordinare ciò che preferisce, effettuare il pagamento e attendere la consegna. A questo punto l’ordine viene inoltrato e ricevuto dal ristorante e dal rider al quale la consegna è stata assegnata. Il ristorante, così, va ad iniziare la preparazione del pasto e il rider nel frattempo può muoversi per andare a prenderlo. Qui, una volta confezionato il cibo, ritirerà l’ordine e sarà pronto per consegnarlo al cliente. Apparentemente, fin qui, sembrerebbe tutto normale. C’è però un dettaglio che abbiamo trascurato: in base a cosa è stato scelto proprio quel determinato rider?
Ed è qui che entra in gioco il primo misterioso personaggio di questa storia: l’algoritmo.

La logica dell’algoritmo

L’ algoritmo è un software di proprietà della piattaforma di food delivery che analizza una serie di dati e decide a quale rider proporre la consegna. Lo scopo è quello di garantire la massima efficienza e la minima attesa al cliente. Da questo software dipende il numero di consegne di ogni fattorino e di conseguenza, essendo la paga direttamente proporzionale alle consegne effettuate, il suo stipendio. Così, quando un cliente effettua un ordine attiva l’algoritmo di consegna che crea un ponte tra l’ordine, il ristorante e il rider scelto. La piattaforma Deliveroo afferma che l’unico criterio su cui l’algoritmo si basa nella scelta del fattorino è l’efficienza. Ciononostante sul sito dell’azienda il software non viene mai nominato e il suo reale funzionamento è coperto da segreto industriale.

La spietatezza dell’algoritmo

Navigando in rete alla ricerca di informazioni a riguardo mi sono imbattuto in vari siti che tentano di fornire una reale spiegazione del suo funzionamento. Ciò che ho potuto evincere è che l’algoritmo utilizza un metodo spietato per assegnare le consegne. Infatti questo software si avvale di tre dati principali. Uno è il rating del rider, ovvero il punteggio accumulato dal fattorino nelle sue consegne precedenti. Poi c’è il ranking dei rider, cioè la classifica di tutti i fattorini disponibili. Infine c’è il punteggio assegnato alla consegna stessa. Inoltre l’algoritmo analizza anche dati riguardanti il tempo stimato per completare la consegna. Tra questi troviamo quello per arrivare al ristorante e da lì al luogo di consegna. A questo punto, una volta individuato il rider migliore per la consegna, viene inviata una notifica sul suo smartphone. Qui lui potrà decidere se accettare o meno l’ordine. Nel caso in cui dovesse rifiutarla la notifica verrà inoltrata ad altri rider sotto di lui nel ranking.

Condizioni di lavoro, tutele e stipendi

Attualmente in Italia convivono due modelli contrattuali nel settore del food delivery. Il primo è quello di lavoro autonomo regolato dal CCNL (contratto collettivo nazionale di lavoro) di Assodelivery. Il secondo è il contratto di lavoro dipendente stipulato da Just Eat in collaborazione con CGIL, CISL e UIL.
Ma andiamo per gradi e osserviamo entrambi i modelli contrattuali.
Il primo contratto che regola il lavoro dei rider nel nostro paese risale al 16 settembre 2020. Si tratta appunto il CCNL di Assodelivery. Questo accordo inquadra l’attività del rider come quella di lavoro autonomo. Al tempo stesso le garantisce alcune caratteristiche del lavoro dipendente. Tra queste ci sono standard minimo retributivo, diritti sindacali, assicurazione antinfortunistica e sicurezza sul lavoro.
Osserviamo nello specifico alcuni passi del CCNL, che trovate anche completo qui.

Il testo del CCNLL


Innanzitutto possiamo vedere quale definizione del rider stesso venga data dal contratto.
Il testo recita come di seguito. “Il Rider, ai fini del presente Contratto e come definito in premessa, è un lavoratore autonomo che, sulla base di un contratto con una o più Piattaforme, decide se fornire la propria opera di consegna dei beni, ordinati tramite applicazione, come individuati anche dall’articolo 47-bis del D.Lgs. 81 del 2015.
Le prestazioni di lavoro autonomo tra Rider e Piattaforme sono caratterizzate dalla flessibilità delle stesse. La prestazione si concretizza nella consegna di cibo e altri prodotti ai clienti finali. Per fare ciò il Rider è chiamato a recarsi nel luogo designato, ritirare i beni ed effettuare, con mezzo di trasporto proprio, la consegna al cliente finale.”


“Il Rider non potrà essere assoggettato ad alcun vincolo di orario. Ne consegue che la sua assenza non dovrà essere giustificata e la presenza non potrà essere imposta.”

Da questa prima definizione si evince come uno dei concetti principali del contratto sia la flessibilità del lavoro del rider. Questo concetto è spesso riportato anche dai siti delle principali piattaforme di food delivery tramite lo slogan “Scegli tu il tuo orario di lavoro”. Ciò che però non viene sottolineato è che il rider guadagna solo nelle ore in cui effettua consegne. E questo fa si che per arrivare ad uno stipendio che gli permetta di vivere dignitosamente egli debba lavorare un gran numero di ore.
Continuando nella lettura del CCNL ci addentriamo poi in quello che è l’articolo dedicato al compenso dei rider.
In più l’articolo pone molto il focus su quella che è la possibilità da parte del rider di accettare o meno ogni singola consegna. Si concentra poi sui criteri che ogni piattaforma può utilizzare per decidere il giusto compenso per ogni consegna.


“Le Parti individuano i seguenti criteri che potranno essere implementati in base a modalità caratteristiche del business di ciascuna Piattaforma:
  • distanza della consegna
  • tempo stimato per lo svolgimento della consegna
  • fascia oraria
  • giorno feriale o festivo
  • condizioni meteorologiche
I criteri individuati rappresentano un elenco di riferimento, pertanto le Parti potranno individuarne ed implementarne di ulteriori. Si concorda che il Rider riceverà compensi in base alle consegne effettuate, ferma la possibilità per le Parti di determinare compensi in base a parametri ulteriori.”

Da questo articolo possiamo quindi capire come guadagna concretamente un rider. Il suo compenso è definito dal numero di consegne effettuate e il valore di ogni singola consegna è dato dalle seguenti caratteristiche. Prima la distanza della consegna, poi il tempo stimato per lo svolgimento della stessa. Seguono la fascia oraria in cui la svolgerà, il giorno, se festivo o feriale, e le condizioni meteorologiche.
Infatti, come visibile in un passaggio successivo del contratto, sarà garantito al rider un compenso aggiuntivo (indennità) al verificarsi delle seguenti circostanze. Si parla di lavoro notturno, lavoro svolto durante una festività e lavoro svolto in condizioni meteorologiche sfavorevoli. Queste indennità garantiscono al rider un guadagno aggiuntivo pari al 10%, al 15% o al 20% a seconda della concomitanza di una, due o tre delle circostanze sopracitate.
L’ articolo poi si concentra sul compenso minimo garantito al rider. Questo è pari a 10 euro lordi l’ora. Ma viene ricalibrato “nel caso in cui il tempo stimato dalla Piattaforma per le consegne risultasse inferiore ad un’ora”. Risultando così in un compenso minimo ben inferiore ai 10 euro.
Per quanto riguarda le tutele, invece, il contratto parla di dotazioni di sicurezza quali casco e indumenti ad alta visibilità. Viene menzionata anche la copertura assicurativa obbligatoria dell’INAIL.
Spostiamoci ora sul modello contrattuale stipulato da JustEat con CGIL, CISL e UIL nel 2021. Questo contratto inquadra i rider come lavoratori subordinati e li inserisce in quello che è il CCNL del settore Logistica, Trasporto, Merci e Spedizioni. Questo contratto prevede ferie, malattia, maternità e festività e un compenso orario minimo di 8,50 euro ai quali vanno sommati 0,25 euro per ogni consegna effettuata.

La questione delle ore lavorative settimanali

Un’altra differenza con il modello contrattuale analizzato in precedenza è quella data dalla presenza di tre regimi orari part time di 10, 20 o 30 ore settimanali. Ad un primo sguardo questo contratto può sembrare un grande passo avanti rispetto al CCNL visto precedentemente. Ma leggendolo in maniera più attenta possiamo trovare vari punti controversi che sollevano non poche perplessità.
Innanzitutto JustEat assume un grande numero di rider con un part time da 10 ore settimanali. Questo numero di ore implica che il rider assunto non riesca a sbarcare il lunario ed abbia, quindi, bisogno di almeno un altro lavoro per arrivare a fine mese. Un altro problema è quello riguardante l’organizzazione del lavoro. Infatti, secondo quanto è scritto in questo contratto, in un dato momento della settimana la piattaforma JustEat richiederà al rider di comunicare la propria disponibilità per la settimana successiva. Così facendo riceverà gli orari dei turni da svolgere.
Questi orari non saranno modificabili in nessun modo, evidenziando una certa incoerenza nella azienda che fa della flessibilità uno dei suoi valori focali.

Le lacune ancora presenti nei modelli contrattuali


In ultima analisi anche il compenso solleva molte perplessità. Dagli 8,5 euro lordi l’ora vanno aggiunti 0,25 euro per ogni consegna che diventeranno 0,5 nel caso in cui si completino 250 consegne al mese. Si tratta di un numero ben al di sopra delle possibilità di chi lavora 10 ore alla settimana.
In conclusione dopo aver letto e analizzato entrambi i contratti si può dire che nessuno dei due sia adeguato. Entrambi presentano grandissime lacune per quanto riguarda la tutela dei lavoratori, la loro sicurezza e i compensi che non sono sufficienti per la mole di lavoro e le condizioni alle quali i rider sono sottoposti giornalmente. Rispetto agli inizi del settore food delivery nel nostro paese sono stati fatti passi in avanti, certamente. Restano in ogni caso evidenti grandissime lacune nei contratti che regolano questa professione e ciò si riversa nelle condizioni di lavoro di migliaia di persone che ogni giorno si muovono tra di noi invisibili.

Le eccezioni: Robin Food

In questo contesto fatto di contratti inadeguati, condizioni di lavoro poco sostenibili e sicurezza sul lavoro praticamente inesistente c’è, però, chi si distingue e prova a dare una soluzione reale al problema. Stiamo parlando della piattaforma fiorentina di food delivery Robin Food. Questa cooperativa propone una soluzione etica, sostenibile, ecologica e locale. La loro idea nasce dal desiderio di cercare un modo per rendere il lavoro dei fattorini più sicuro e meglio retribuito. Come infatti dichiara il loro sito ha come valori “la dignità del lavoratore, l’economia locale e il territorio”.
Ho avuto il piacere di intervistare il presidente della cooperativa, Nadim. Come vedremo ha saputo esprimere in maniera perfetta quella che è la filosofia della cooperativa e come il loro lavoro funziona.


Buongiorno Nadim e grazie per la disponibilità. Innanzitutto vorrei sapere da cosa è nato il vostro progetto.


Il progetto nasce ormai da poco più di due anni. Da lì segue tutta la scia di quella che è stata la condizione di lavoro dei rider che sono peggiorate nel tempo e soprattutto nel periodo dal 2018 al 2020. Ci sono state tante manifestazioni e scioperi. Ad un certo punto io e altri ragazzi ci siamo messi insieme per creare una cooperativa che fosse una cosa nostra che potessimo gestire noi. Io a quei tempi non ero ancora presidente della cooperativa. Le motivazioni che hanno portato le persone a creare questa cooperativa sono state le condizioni di lavoro che non erano né stabili né buone in seguito a vari anni di lavoro nel settore.

Il vostro progetto è gestito dagli stessi rider che fanno le consegne. Volevo perciò sapere proprio in materia pratica come funziona il lavoro dei vostri rider. E quali sono le differenze con le grandi multinazionali?

Di diverso è il fatto che i rider sono per la maggior parte soci della cooperativa. Quindi lo è anche chi è per esempio il presidente o un consiglio di amministrazione amministrazione. E sono contrattualizzati. Hanno un contratto che è un CCNL, con tutti contributi, ferie, malattia, 13.ª, 14.ª che è una cosa che la maggior parte delle aziende non hanno mai voluto fare, a parte JustEat. Diciamo che questa si è discostata un po’ dalle altre multinazionali Glovo, Uber Eats, Deliveroo che sono sempre rimaste sulla prestazione occasionale o partita IVA. La differenza sostanziale quindi è quella contrattuale. Poi c’è il fatto che comunque siamo un gruppo anche relativamente piccolo e quindi c’è anche una comunicazione migliore internamente. Non abbiamo un algoritmo che assegna gli ordini ma gli ordini vengono assegnati da una persona che gestisce sostanzialmente il servizio clienti. Perciò se c’è un problema per un ordine parla con il cliente. Poi parla con un ristorante, anche con il rider. Successivamente assegna gli ordini ai rider. Siamo più trasparenti da questo punto di vista.

Come ultima domanda volevo sapere cosa ne pensasse dell’indifferenza generale nei confronti dei rider. Mi sembra non ci sia consapevolezza da parte del cliente nel momento in cui si effettua un ordine sui siti delle varie piattaforme.

Da un lato secondo me di visibilità ce n’è perché comunque come racconti mediatici se ne è parlato abbastanza spesso di questo tema. Tutta questa indifferenza non sono del tutto d’accordo che ci sia. Allo stesso tempo manca, secondo me, ancora nella popolazione un grado di consapevolezza maggiore. Serve uno sforzo maggiore nel fare la scelta sostenibile. Questo vale sia per le consegne, ma può valere anche per altro. Per esempio, è più comodo prendere il pacchetto con Amazon che però non è un sistema che aiuta la società nella sua collettività. Soprattutto è più comodo se arriva velocemente a casa. Magari costa meno e quindi la gente tende a fare la scelta che è più conveniente. Ed è difficile far cambiare
questa abitudine alle persone. Vogliono avere tutto nella maniera più semplice possibile, pagando il meno possibile. Ma non pensano che poi ci sono dei costi che vengono scaricati su altre persone. Quindi l’indifferenza è questa. Non so quanto sia totale indifferenza. Ma forse si tratta mancanza di consapevolezza. Questi problemi necessitano di tempo per cambiare perché comunque le persone si sono abituate in una certa maniera. E non cambiano da un giorno all’altro. Forse con continui racconti le persone magari riusciranno a fare un calcolo che è più complesso rispetto alla semplice convenienza.

rider a palazzo vecchio, Firenze

Un anno dopo

Oggi, ad un anno dalla prima stesura di questo reportage, la situazione è rimasta immutata. I contratti non sono cambiati e la presa di coscienza della società che ci auguravamo potesse avvenire non si è ancora presentata. Nel frattempo migliaia di rider continuano a solcare le strade delle nostre città 24 ore su 24, 7 giorni su sette, rimanendo ancora invisibili.

di Samuele Ferrari